Skip to content Skip to footer

The Nun – di Corin Hardy

Tempo di lettura: 4 minuti

Ci sono due modi principali attraverso i quali ampliare l’universo narrativo di un franchise. Il primo è prendere un elemento (personaggio, ambientazione, situazione) e svilupparlo in maniera poco pretenziosa lavorando più sull’estetica che sulla sostanza e limitandosi a cavalcare la potenza concettuale dei pilastri fondanti il franchise. Il secondo è raccontare una storia diversa utilizzando uno degli elementi di cui sopra, sfruttare una suggestione scegliendo però un percorso narrativo autonomo che si appoggia al capostipite invece di caricarselo sulle spalle col rischio concreto di restare schiacciato dal suo peso.

The Nun, purtroppo, appartiene alla prima categoria. Se da un lato la pellicola consolida l’universo horror concepito da James Wan con l’ottimo The Conjuring che adesso arriva a contare cinque pellicole, dall’altro lo fa in maniera poco convinta limitandosi, appunto, a un minimo sindacale persino sotto la sufficienza.
La storia è tanto suggestiva quando poco sfruttata: siamo all’inizio degli anni ’50 e il monastero di Cârţa, incastrato nelle selvagge lande della Romania, è teatro del tragico suicidio di Suor Victoria. Padre Burke (un poco convinto Demián Bichir) e Suor Irene (la brava Taissa Farmiga) vengono inviati dal Vaticano a indagare sul misterioso suicidio. Il monastero si rivelerà infestato dal terribile demone Valak, nemesi giurata di Ed e Lorraine Warren (The Conjuring: Il Caso Enfield).
La location è molto suggestiva e gli alti riferimenti (forse persino involontari) a Il Nome della Rosa riarrangiati dallo specchio deformante della coppia prete-suora, difficili da ignorare. Il vero problema di The Nun è tutto nella scrittura perché semplicemente Valak non basta. Il personaggio era potente, le sue apparizioni ne Il Caso Enfield convincenti e ben dosate. Ma portarlo fuori dal quadro che lo immortalava era un rischio e l’operazione doveva essere accompagnata da qualcosa di più che un monastero, angoli bui, un prete sprovveduto, il Francese (Jonas Bloquet) lingua lunga e lo spiegone da manuale di occultismo. La stessa Suor Irene, giovane devota a Dio ma in attesa di prendere i voti, poteva offrire qualcosa di più mentre Hardy e lo stesso Wan hanno scelto la via più semplice.

Copyrihgt: New Line Cinema, The Safran Company, Atomic Monster Productions

Da una lato questo non stupisce: la serializzazione dei franchise ‘inventata’ dalla Marvel inizia a mietere vittime e gli spin-off su personaggi secondari possono essere film zoppicanti, parziali, che vivono di luce (o tenebra) riflessa e che servono solo ad aggiungere componenti di qualità altalenante a un universo narrativo in via di espansione. Dall’altro però si tratta di un’operazione che non porta da nessuna parte perché alla fine dei novantasei minuti di The Nun se si ha l’ardire di farsi la domanda:”Ma questo film serviva?” la risposta è un secco e ineluttabile “NO”.
E a poco serve la strizzata d’occhio finale, il piccolo grande fan-service che dovrebbe consegnare nelle mani dello spettatore la sensazione di essere parte del grande tutto horror concepito dalla mente frizzante di James Wan.
Perciò, The Nun è davvero un brutto film? No, peggio. E’ un film inutile. Intrattiene il giusto, spaventa con la consunta arte del salto sulla sedia, ha qualche trovata interessante (le campanelle sulle tombe) sprecata però dalla costante sensazione di già visto che infesta tutto il film.
Il mia malcontento diventa ancora più forte quando invece incappo nel secondo modo di ampliare i franchise (mi cito: “raccontare una storia diversa utilizzando uno degli elementi di cui sopra, sfruttare una suggestione scegliendo però un percorso narrativo autonomo che si appoggia al capostipite invece di caricarselo sulle spalle“). Mi è successo con Ouija – L’origine del male, del bravo Mike Flanagan, pellicola di cui vi parlerò tra qualche giorno.
Nel frattempo uniamoci tutti nella preghiera perpetua per un horror più concettuale e meno seriale.

Condividi!

Leave a comment

0.0/5

0