Poco tempo fa mi sono espresso sul concetto di ‘responsabilità‘, su come questo è stato travisato e deformato per compiacere la necessità di trovare responsabili, dove responsabili non ci sono. O di costruirci un alibi inattaccabile per l’immobilità sistematica che fa comodo a noi e soprattutto fa comodo agli altri.
Altra cosa, ma che sono certo deve far capo agli stessi principi, è il senso del ‘Controllo. Autori come George Orwell o come Alan Moore hanno dissezionato il concetto di ‘Controllo’ e lo hanno rimontato portando all’eccesso tutte quelle cose che temevano, che vedevano intorno a loro o che, in un qualche modo distorto e disperato, desideravano. Lo hanno fatto inventando regimi autoritari nei quali la responsabilità finiva per concentrarsi tutta nelle mani di pochi (fossero essi persone o autorità impersonali) e che, per genetica e costituzione, dovevano imporre un controllo serrato su tutti i componenti della società. Responsabilità, e controllo. Senza nemmeno sforzarsi troppo rimbalzano entrambi nello stesso concetto.
Noi lettori, spettatori di questi giochi intellettuali (seppure si tratta di esercizi con solidissime basi di realtà), abbiamo assimilato e interpretato la violenza dei regimi, la pericolosità di chi può esercitare un controllo totalitario e siamo arrivati all’inevitabile conclusione che un potere di quel tipo è male. Credo che sia insito in ciascuno di noi, e non solo come riflesso scaturito da idee pensate da altri, un desiderio di ribellione. Di fuga dal controllo. La necessità di percepire una libertà capace di condensarsi, solida, a tutti i livelli della nostra vita garantendoci quelle boccate d’aria che il controllo, subito o esercitato, non è in grado di darci.
E qui scatta la seconda parte del ragionamento. Rifuggiamo dal controllo, lo stigmatizziamo in tutte le sue manifestazioni (regole aziendali, regole domestiche, istituzioni e forze di polizia) dimenticando che tutti questi principi di regolamentazione intervengono solo dopo la perdita di controllo.
La forze pubbliche e la magistratura sono strumenti di pulizia e ordine e non di controllo. Lo ripeto, intervengono quando ormai il controllo non è più nelle mani di chi doveva esercitarlo. Ammesso e non concesso che ci sia mai stato. L’esempio più lampante è il degrado morale che infetta, letteralmente, la nostra classe politica.
La prima reazione ancestrale, animale e istintiva è di rifiuto. E’ di politicizzazione. E’ di urlo al complotto. E, prima che tutto questo diventasse troppo eccessivo, la seconda reazione istintiva è di simpatizzare con il ‘perseguito’. Questa deriva si è insidiata nel nostro tessuto sociale dopo il 1992 (Mani pulite) quando ci siamo resi conto, ma è stata la scoperta dell’acqua calda, che la legge non colpiva solo gli altri, ma che se costretta a penetrare in profondità le distinzioni tra la casta e la corruzione endemica andavano via via sparendo. Se la macchina della pulizia si mette in moto, poi, diventa difficile sdraiarsi in mezzo alla strada e sperare che questa si fermi o che faccia eccezioni.
(Piccolo inciso: ovviamente, come in tutte le cose vittime della fallacia umana, ci sono persone capaci e persone meno capaci, sincere e false. Ma qui si parla di principi e quelli, per fortuna, durano molto di più di chi li mette in pratica.)
Perciò il piccolo e corrosivo mostricciattolo refrattario all’autorità, dentro di noi, ha avuto di che nutrirsi. Eccome. Per come la vedo io ha creato quell’abominio che adesso sta spurgando veleno, ogni giorno, su tutte le pagine dei giornali. E di nuovo, e con più forza, ecco che si grida al complotto. Qualche voce si leva, più subdola di vent’anni fa, e ci suggerisce che ci sono disegni politici dietro le barbarie che si compiono, pare, in tutte le stanze del potere.
Può essere. Ma il punto non è questo. Non deve essere questo.
Il punto è, e chiudiamo il cerchio, il Controllo. La magistratura, la polizia, non sono organi di Controllo, lo ripeto. Il Controllo reale arriva prima. Arriva da noi. Arriva dai partiti. Se ci fosse, se funzionasse, se qualcuno si prendesse la responsabilità di applicarlo molte cose non succederebbero. Nessuna purga. Nessuna situazione estrema di stress. Nessuna pulizia. Un sistema sociale, se stressato da meccanismi non omogenei e non naturali, nel migliore dei casi finisce per reagire in modo incontrollato e imprevedibile, nel peggiore si frantuma in mille pezzi. E tutto perchè la refrattarietà al Controllo, alla sua applicazione, alla sua gestione responsabile è forte. E’ razionale o istintiva, ma è pericolosamente forte.
Nessun uomo o donna di buon senso gode nell’applicare rigidi meccanismi di pulizia. Perchè è un fallimento. Ma tutti gli uomini e le donne di buon senso dovrebbero scrollarsi di dosso la polvere e riprendere il proprio ruolo di controllori.
Vi va di farlo?
controllo
[con-tròl-lo] s.m.
1 Indagine volta a garantire, verificare qlco. SIN ispezione, verifica: effettuare un c.
2 estens. Sorveglianza, spec. a opera delle forze dell’ordine: c. delle stazioni
3 Nel l. burocr. o fam., ufficio che esercita un’attività di ispezione e sua sede:passare il c. doganale
4 Attività con cui si dà una disciplina a qlco., o si impone un limite: c. degli armamenti || c. delle nascite, insieme delle misure finalizzate alla riduzione del numero dei nati
5 (solo sing.) Capacità di governare qlco. SIN padronanza: perdere il c. dell’automobile; in ambito politico-militare o economico, dominio: avere il c. di un territorio; in ambito psicologico, dominio razionale sugli impulsi: avere il c. di sé; anche con uso assol., autocontrollo
6 tecn. Dispositivo che regola, verifica il funzionamento di una macchina o di un sistema: quadro di c.