“A te vengo, balena che tutto distruggi ma non vinci: fino all’ultimo lotto con te; dal cuore dell’inferno ti trafiggo; in nome dell’odio, vomito a te l’ultimo mio respiro.”
Come il capitano Achab, anche Charlie odia. Odia sé stesso, Charlie. Si odia a tal punto da incarnare sia il capitano della Pequod che Moby Dick. Si odia così tanto da essere cacciatore e preda, e preda e cacciatore al tempo stesso. È intrappolato, Charlie. Ma non vuole liberarsi. Non vuole scappare. È quello che è. Sa di esserlo.
Perché se da un lato non si perdona una vita costellata da troppi sbagli – come sono costellate di troppi sbagli le vite di tutti – dall’altro, Charlie ama.
Ama la sincerità, ama la possibilità di amare, ama la speranza di lasciare qualcosa che gli sopravviva. Qualcosa che continui oltre e dopo lui nella mente dei suoi studenti e nel cuore di quelli che ha ferito, tradito, deluso.
Perché anche se “Nessuno è abbastanza forte da salvare qualcun altro”, dall’altra parte “Per le persone non è possibile non innamorarsi“.
The Whale è un film straordinario e doloroso. E nel dolore di Charlie ci accompagnano gli occhi fin troppo sinceri di Brendan Fraser. Quello stesso Brendan Fraser che avevo visto per la prima volta al cinema 25 anni fa, insieme a Ian McKellen in “Demoni e Dei”, stupendo film di Bill Condon sulla vita (e la morte) del regista James Whale (curiosa coincidenza). Quell’ingenuo Brendan Fraser che imparava il dolore della vita e che lo purificava fissandolo con gli stessi occhi sinceri di Charlie, un Brendan Fraser molto meno ingenuo.
“Se tu mi uccidi ora, la morte sarebbe sopportabile.”
Diceva Jimmy Whale. E non posso fare a meno di pensare che questa sofferenza così atroce e al tempo stesso sopportabile sia la stessa che ha provato James Whale, che ha provato Charlie e che ha provato anche Brendan Fraser. E che Darren Aronofksy in qualche maniera fa provare anche a noi.