C’era davvero bisogno di un nuovo capitolo sull’uomo pipistrello? Dopo i film-fumetto (ancora non era in voga il termine cinecomics) di Tim Burton, dopo i disastri di Joel Schumacher, dopo la de-fumetizzazione di Christopher Nolan e dopo l’opera magna di Zack Snyder azzoppata dalle esigenze produttive della major, cosa restava ancora da dire sul Cavaliere Oscuro? Niente o tutto, a seconda dell’orecchio di chi ascolta.
Dal punto di vista estetico, il The Batman di Matt Reeves non è esattamente un capolavoro di innovazione. Prende porzioni di quanto fabbricato da Nolan, le spoglia di parte della loro tecnologia d’avanguardia e le precipita in un contesto iper-realistico azzerando quasi del tutto l’anima fumettistica del Cavaliere Oscuro. I villain sono sostanza e non forma così come anche Selina Kyle e lo stesso Batman. Tutta la componente dandy di Bruce Wayne viene atrofizzata e di lui resta uno scheletro ossessionato e vendicativo. Dal punto di vista emotivo viene fatta un’operazione simile, ma più matura e con un progetto ben chiaro in testa. Ci sono suggestioni mutuate da “Seven“, “Saw“, “Watchmen” e persino “V per Vendetta“. Non plagi, attenzione. The Batman diventa un grande contenitore nel quale versare alcuni ingredienti presi in prestito dalle pellicole di cui sopra nel tentativo di ottenere qualcosa di diverso. Non nuovo, ma diverso. La metamorfosi alchemica funziona? Anche in questo caso, dipende. E dipende da che lato della medaglia preferiamo.
Se piace questo tipo di cinema (è il mio caso), questi riferimenti, questo gotico oscuro, questi Grandi Forni cittadini corrotti e figli di archetipi non esattamente dell’ultima ora, The Batman è il film giusto per ritrovare coordinate note e per vederle messe in pratica in maniera convincente. Dalla A alla Z. Se vogliamo, il film di Reeves è una sorta di manuale. Dalla fotografia, al fenotipo dei cattivi reso comune e quasi lombrosioano, dall’estetica dello stesso Batman e persino nel viaggio dell’eroe di Bruce Wayne che qui si ripercorre mescolandone le tappe. Tutte queste componenti sono una dichiarazione d’amore e di fedeltà a ciò che i fumetti non sono (realtà) e a ciò che i fumetti possono essere (realtà). E Batman è semplicemente il supereroe giusto per catalizzare queste riflessioni. Tormentato ma risoluto nel non violare la sua unica regola, il Bruce Wayne di Robert Pattinson ci viene presentato come una creatura che per troppo tempo ha vissuto tra le ombre.
Non c’è lo slancio eroico senza se e senza ma del protagonista tipico di alcuni cinecomics. C’è al suo posto una consapevolezza esistenziale (“Io sono vendetta“), un continuare a combattere senza però la reale speranza di cambiare le cose. E in questo il messaggio quasi biblico di una alluvione che spazza Gotham, di un Batman che rinasce da un battesimo auto-imposto capace di spogliarlo dai peccati del padre, degli ultimi dell’Enigmista che per qualche ora sembrano diventare i primi, della caccia ai peccatori sulla scia di Seven, tutto questo fa da contraltare alle suggestioni messianiche dell’Uomo d’Acciaio. Batman non è ispirazione, non è un modello: è un peccatore che cerca redenzione, che lo fa punendo il male con l’inconfessata consapevolezza che comunque non sarà mai abbastanza.
Per questo The Batman è un film oscuro e problematico, forse non troppo adatto a un oggi anch’esso cupo. Perché anche le ragioni dei cattivi non ci appaiono del tutto infondate. Perché il grido degli ultimi – lo stesso grido che ha trovato asilo nella risata di Arthur Fleck nel Joker di Todd Phillips -, quel grido risuona con alcune parti della nostra mente. Per questo dico che The Batman appare necessario a chi trova nella confortevole disperazione dell’eroe rassegnato un percorso presente e comprensibile. E su questo oscuro, le luci, la redenzione e la rinascita ci appaiono comunque come l’ennesimo sacrificio di chi continuerà a vivere nelle ombre. Nonostante tutto.