VOTO:[rating:4.5]
Era il 1989 quando muovevo il mio primissimo passo nel mondo del fantasy. Prima di Tolkien, prima di David Eddings, prima della Weis e di Hickman mi capitò tra le mani un volume finito per pura fatalità nella libreria di casa: era il tempo del 'Club degli Editori' e dei romanzi acquistati a scatola chiusa. Si trattava de 'La Guerra dei Giganti' (The Illearth War) di Stephen R. Donaldson, pubblicato in America nel 1978 e in Italia da Mondadori in quel fatidico 1989 (Fanucci tenterà una riedizione nel 2006 ma, credo, con poca fortuna).
VOTO:[rating:2]
Non è mai piacevole dirlo, soprattutto quando si parla di cinema, ma mi ero sbagliato. Un anno fa avevo assolto 'Lo Hobbit: la desolazione di Smaug' certo che si trattasse di un capitolo inevitabilmente intermedio, forzato nella sua normalità da un primo episodio convincente e da una conclusione che sarebbe stata a dir poco fenomenale. Be', mi sbagliavo. La chiusura di questa nuova trilogia tolkeniana corrisponde al capitolo meno brillante dell'intero trittico.
VOTO: [rating:3]
Cosa succede quando si decide di trasporre sul grande schermo un romanzo denso e breve come 'Lo Hobbit' e si decide poi di farlo con tre pellicole al posto di due? Se anche ti chiami Peter Jackson (PJ), l'impresa non è priva di rischi e i limiti sia letterari che cinematografici della nuova trilogia tolkeniana sono in parte deflagrati con 'Lo Hobbit: La Desolazione di Smaug'. La rete si è subito divisa in tre gruppi più o meno omogenei: chi lo odia, chi lo ama e chi ne riconosce pregi e difetti.
Per arrivare preparato a uno degli appuntamenti cinematografici più attesi dell'anno, avevo riletto poco tempo fa 'Lo Hobbit' (in una versione con tanto di domande di comprensione, non si sa mai) riscoprendolo molto più ricco di avvenimenti di quanto ricordassi. Perciò mi accompagnava in sala, memore delle capacità di adattamento mostrate da Jackson ne 'Il Signore degli Anelli', la consapevolezza che in quanto ad avvenimenti, 'Lo Hobbit' è denso quanto una zuppa di lenticchie.
La mia prima lettura de 'Lo Hobbit' (1937, pubblicato però in Italia nel 1973) risale ai gloriosi tempi delle scuole medie, per merito di una professoressa di italiano decisamente illuminata. Avevo ricordi piuttosto confusi in merito e in previsione dell'imminente uscita cinematografica, ho deciso di rileggerlo. E la cosa mi ha richiesto poco più di un paio di giorni.
Da sempre (e per sempre) si discute (e si discuterà) del rapporto tra letteratura e cinema. O meglio, tra narrazione letteraria e relativa trasposizione cinematografica. E più o meno dal 1903, con il primo cortometraggio muto tratto dal 'Don Chischiotte' di Cervantes, che il cinema attinge per le sue produzioni a realtà letterarie più o meno di successo. E questo è terreno consolidato con le solite ombre (tante) e le solite luci (un po' meno): affidabilità della trasposizione in termini di trama, fedeltà ai personaggi e capacità di una sintesi coerente (difficilmente salvo rare eccezioni, e 'Lo Hobbit' potrebbe essere una di queste, vedere un film richiede più tempo che leggere il corrispettivo romanzo).