La mia prima lettura de 'Lo Hobbit' (1937, pubblicato però in Italia nel 1973) risale ai gloriosi tempi delle scuole medie, per merito di una professoressa di italiano decisamente illuminata. Avevo ricordi piuttosto confusi in merito e in previsione dell'imminente uscita cinematografica, ho deciso di rileggerlo. E la cosa mi ha richiesto poco più di un paio di giorni.
Da sempre (e per sempre) si discute (e si discuterà) del rapporto tra letteratura e cinema. O meglio, tra narrazione letteraria e relativa trasposizione cinematografica. E più o meno dal 1903, con il primo cortometraggio muto tratto dal 'Don Chischiotte' di Cervantes, che il cinema attinge per le sue produzioni a realtà letterarie più o meno di successo. E questo è terreno consolidato con le solite ombre (tante) e le solite luci (un po' meno): affidabilità della trasposizione in termini di trama, fedeltà ai personaggi e capacità di una sintesi coerente (difficilmente salvo rare eccezioni, e 'Lo Hobbit' potrebbe essere una di queste, vedere un film richiede più tempo che leggere il corrispettivo romanzo).