Questa recensione/analisi è stata pubblicata integralmente sul numero 18 del Living Force, fanzine del Fan Club Yavin 4.
La mia esperienza di lettore rispetto al “maghetto quattrocchi” è stata preceduta da un’epidermica irritazione scaturita, nella sua forma più virulenta, in reazione allo scoppio “popolare” dell’amore per J. K. Rowling e per le sue creature di carta stampata. Da amante secolare del Fantasy guardavo con estremo sospetto al plebiscito urlante che inneggiava alla ventata di novità portata dalla scrittrice inglese: nei libri di Harry Potter non vedevo nulla di nuovo, rispetto all’enorme scibile Fantastico esistente; non percepivo uno sforzo letterario (da parte dell’autrice) che giustificasse un entusiasmo così acceso. Quando poi i miei occhi incrociarono uno degli antecedenti “Books of Magic” (collana di fumetti magici Vertigo/DC creata nel 1990-1991 dall’immenso Neil Gaiman) dove il protagonista era un ignaro adolescente inglese occhialuto e con cicatrice che scopriva di essere mago, il mio “prurito concettuale” si fece vera e propria “orticaria da Harry Potter”.