Da quando, tre anni fa, sono entrato tra gli eletti autori italiani di fantascienza che hanno avuto il merito e la fortuna di vedere una loro opera pubblicata dalla prestigiosa collana Urania (Mondadori), ho subito dovuto fare i conti con una buona dose di critiche che, incessanti, travolgono più o meno chiunque debutti su Urania. Da Evangelisti (escluso) in poi. Chiedo subito scusa se questo assunto temporale non è corretto al 100% ma grossomodo lo spartiacque è quello. Il dibattito è serrato e ha picchi di intensità in corrispondenza alla pubblicazione di un autore italiano ma in realtà la tematica della 'fantascienza all'italiana' trova spazio un po' dappertutto, sia in termini di tempo che di luogo.
[rating:3.5]
Stephen King e il suo Pennywise, così come la quarta stagione di American Horror Story, non hanno fatto un gran servizio alla figura del clown. Anzi, ne hanno tracciato con dettaglio i caratteri malevoli e inquietanti tanto da rendere la sfida di un film a tema clown malefici piuttosto complessa. Eppure quel satanasso insaziabile di Eli Roth ha deciso di interpretare e produrre una pellicola che ha proprio a che fare con l'aspetto più tremendo dei divertenti e costumati saltimbanchi da circo: il loro rapporto con i bambini.
VOTO:[rating:2]
Era il 1977 quando l’allora illuminato genio dell’horror Wes Craves decise di portare sul grande schermo la leggenda di Sawney Bean, nella sua versione americana. Ne ‘Le colline hanno gli occhi’ (Hills have eyes, 1977) un gruppo di selvaggi, probabilmente mutati a causa dei test nucleari fatti nelle loro amate grotte, tentava di massacrare un gruppo di incauti vacanzieri. Tralasciando i talentuosi remake del 2006 e del 2007, il tema della mutazione catalizzata da radiazioni nucleari non è nuovo al cinema horror ed è anche alla base di ‘Chernobyl Diaries’, di Bradley Parker.
[rating:4]
Realizzare il seguito di un film è sempre un percorso pieno di insidie, soprattutto se deve dimostrarsi all'altezza della pellicola precedente. In questo caso, quindi, il rischio era doppio perché il primo 'Insidious' (2010), seppure non omogeneo, aveva funzionato a meraviglia. Soprattutto con un finale classico ma aperto, che lasciava nella giusta e definitiva incertezza gli spettatori. Ma quel demonio di James Wan a differenza di altri diavoli meno dotati, sa fare pentole e coperchi.
[rating:2.5]
Premessa: avevo buone aspettative per questa pellicola. Perché? Perché il regista, Scott Derrickson, si era affrancato alla grande da diverse prestazioni mediocri con il terrificante (nel senso buono) e talentuoso 'Sinister' (2012). Perciò, dopo aver portato una ventata di coraggiosa freschezza nell'horror americano mi aspettavo continuasse sulla retta (e faticosa) via da lui intrapresa. Ma, come sempre, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
VOTO:[rating:1.5]
Lo so, sono un inguaribile sognatore. Anche questa volta mi sono fatto abbindolare della mendace didascalia che potete vedere anche nell'immagine qui sopra. 'Questa volta è tutto vero'. Impugnando le cinque, fatali parole come uno scudo contro i pacchi cinematografici, mi sono avventurato in sala pieno di entusiasmo per la quinta pellicola prodotta dalla resuscitata (ma non troppo) Hammer. Se anche voi state pensando di farvi ingannare dalle promesse della locandina datemi retta: non fatelo. Ripescate un vecchio film di Dracula, spegnete le luci, e godetevi Christopher Lee in tutto il suo magnetico terrore.
VOTO:[rating:2]
Sono incappato in questo romanzo per puro caso. Non conoscevo l'autrice e non avevo sostanzialmente idea di cosa trattasse: una delle mie trimestrali escursioni casuali nel mondo della letteratura. A differenza di quanto era successo per John Connolly però, l'azzardo non mi ha ripagato con una lettura altrettanto piacevole.
VOTO:[rating:4.5]
Attendevo con molta ansia la terza stagione della serie horror più coraggiosa che la televisione ci abbia regalato perché dopo essere letteralmente impazzito per 'American Horror Story - Asylum', ero proprio curioso di vedere cosa Ryan Murphy e Brad Falchuk avrebbero confezionato per 'American Horror Story - Coven'.
VOTO:[rating:3]
Ogni volta che uno scrittore viene definito come 'il nuovo qualcosa' un piccolo formicolio inizia a solleticarmi dietro la nuca perché leggo romanzi da un po' e perché scrivo da un tempo più o meno equivalente. Perciò quando ho preso in mano 'Niceville' di Carsten Stroud e letto i proclami che lo presentavano come 'il nuovo Stephen King' il formicolio si è ripresentato più forte che mai. Fare confronti di questo tipo non ha senso: è svilente per lo scrittore, per l'altro scrittore a cui viene paragonato e anche per il lettore. Se voglio leggere un romanzo di King, leggo King, non qualcuno che gli assomiglia.
[rating:3.5]
Non approccio con molta leggerezza alle Serie TV, anzi, le seguo con sospetto (salvo qualche eccezione come 'Il Trono di Spade' e 'American Horror Story') perché la loro stessa natura le avvicina, spesso, alla dannazione. Gli ascolti costringono ad allungare o ridurre i tempi (e quindi deformare la trama) di una serie TV con buona pace di una logica continuità narrativa tanto che ci si ritrova a giudicare una stagione separata dall'altra perché a lungo andare la serie finisce con il divorare se stessa. Però, quando sono incappato in 'Sleepy Hollow' non ho resistito: vuoi per l'illustre predecessore cinematografico, lo splendido 'Sleepy Hollow' di Tim Burton (1999), vuoi per la curiosità di capire come poteva essere incentrata la trama di una serie TV su Ichabod Crane e sul cavaliere senza testa. Ombre e luci, ma alla fine di tutto i tredici episodi della prima stagione sono stati più che gradevoli.
Robocop (2014), Carrie (2013), La casa (2013), Total Recall (2012) e la lista potrebbe continuare. Viviamo un periodo storico nel quale, per tanti motivi, l'originalità cinematografica sembra fiacca e priva di mordente. Molte delle energie creative più fresche preferiscono il piccolo schermo e il proliferare delle serie TV, che spesso si rivelano piccolo gioielli narrativi, ha senza dubbio azzoppato gli slanci creativi che prima erano propri del grande schermo. E allora ecco che per non correre rischi al botteghino e per 'vincere facile' la folta schiera dei remake (o dei reboot) si arricchisce di nuovi capitoli. E di nuove delusioni. Questa riflessione nasce dal recente 'Robocop' di José Padilha ma si potrebbe ben adattare anche a pellicole 'originali' che soffrono tutte di difetti molto simili. Ho l'impressione che una bella fetta delle produzioni americane si sia 'politicizzata'. Non nel senso di una presa di posizione rispetto a eventuali schieramenti politici. Ma piuttosto rispetto alle tematiche e al modo di affrontarle. Il cinema, o almeno un certo cinema di genere, ha la giusta ambizione di dare colore a un mondo a volte confuso o troppo indistinto. E' ancora così?
[rating:2.5]
Quando si scrive un romanzo di fantascienza concepire una bella ambientazione vuol dire partire con il piede giusto: permette di sviluppare i personaggi, viene in soccorso all'autore quando questo resta invischiato nella palude della sterilità creativa e crea curiosità nel lettore. Come è successo? Cosa c'era prima? Cosa succederà poi? Perché?