Dopo l'ottimo Dead Set di qualche anno fa ho deciso di impegnare un po' del mio tempo in un'attività alla quale normalmente mi concedo molto poco: le serie tv. E da appassionato horror ho pensato di farlo incrociando i guantoni con la seconda stagione di 'American Horror Story' (lo ammetto, la prima non sono riuscito a recuperarla) in onda su Sky. Premetto che per il momento ho visto i primi tre episodi e che quindi la valutazione complessiva della stagione richiederà un supplemento, tra qualche settimana.
Gli americani da sempre tendono a ovattare tematiche sociali complesse o che si prestano a chiavi di lettura potenzialmente molto crude. Hanno una predilizione per il lieto fine e quasi mai, davanti a una scelta realistica ma cruda che si contrappone a una più buonista è politically correct scelgono la prima ipotesti.
Quando si sfogliano le prime pagine di un romanzo (breve) scritto dall'autore e sceneggiatore de 'L'Esorcista, (1973)' l'aspettativa non può essere che due o tre gradini più alta del normale. In più, quando le prime pagine non convincono, scatta quel meccanismo di 'ricerca della rivalsa' per cui ci si aspetta, da un momento all'altro, che il romanzo decolli. E se questo non dovesse succedere?
Cosa succede quando un regista europeo (che ha già dimostrato una discreta capacità di sceneggiatore) attraversa l'oceano in cerca di talenti e se ne torna a casa con Robert De Niro, Sigourney Weaver e quel demonio dagli occhi di ghiaccio di Cillian Murphy? Non è regola generale, ma spesso e volentieri il risultato merita almeno una bella menzione.
Se dovessi pensare a un filone cinematografico del quale è stato detto molto e nel quale investirei poco o nulla, uno dei primi che mi viene in mente è quello delle pellicole a tema 'possessione'. Per due motivi: il primo è il confronto impari con il capostipite nominale di tutto, 'L'Esorcista' (1973) di William Friedkin. Il secondo è l'indelicato abuso al quale il tema demoniaco è sottoposto negli ultimi anni. Film come 'Il Rito' (2011) e 'L'altra faccia del diavolo' (2012) hanno affossato ogni entusiasmo e ogni spiraglio di originalità.
VOTO:[rating:4]
Da un bel po' di anni a questa parte la convinzione che il Vecchio Continente sia la vera, nuova, fucina dell'horror moderno prende sempre più consistenza e ho perciò cercato di tracciare un minimo di profilo psicologico dei nuovi autori horror europei in un pezzo, su questo sito, qualche anno fa. Lo potete trovare qui.
E continua la mia piccola marcia nel campo dell'editoria digitale con un'altra esperienza in eBook. 'Cerchi di fiamme' è un racconto dell'occulto che mi sono molto divertito a scrivere e che sono contento di vedere pubblicato. Ipnosi, psicologia e un pizzico di spettrale follia tipica di quei paesi dimenticati che tutti, prima o poi, abbiamo visitato.
VOTO: [rating: 4]
La mia conoscenza con Lindqvist, lo ammetto, non è avvenuta tra gli scaffali di una libreria ma in un cinema e sotto il migliore del auspici: incrociai la trasposizione in celluloide (2008) del suo 'Lasciami entrare' letterario (2004). Era un periodo oscuro per l'horror cinematografico e rimasi del tutto deliziato dall'equilibrio, il coraggio e l'intelligenza della pellicola. Incuriosito, rincorsi allora il romanzo e non fui affatto deluso, anzi: Lidnqvist si confermava un autore illuminato. Da allora lo seguo con una certa devozione e questo 'Muri di carta' (scritto tra il 2002 e il 2005) è la sua quarta pubblicazione, questa volta sotto forma di raccolta di racconti.
E dopo un'attesa nemmeno troppo lunga, ecco finalmente il completamento della trilogia 'Nocturna' iniziata con il primo volume 'La Progenie' ('The Strain, 2009), continuata con 'La Caduta' (The Fall, 2010), che già avevo recensito, e infine conclusasi con questo 'Notte Eterna. Avevamo lasciato il mondo in pessime mani: devastato da una grappolo di esplosioni nucleari, il cui effetto principale era stato quello di condannare la Terra alle tenebre persistenti (ceneri radioattive coprono il cielo per quasi la totalità del giorno), è divenuto l'ecosistema perfetto per il 'Padrone' e per la sua orda di vampiri.
[rating:4.5]
Che io abbia un debole per il regista catalano, lo si può dedurre leggendo questo mio vecchio articolo di qualche tempo fa. Ma, fino a questo momento, mi ero innamorato soprattutto del suo modo coraggioso e personale di interpretare, in particolare, l'horror. Bedtime, sgombriamo il campo da fraintendimenti, non è un film horror. Ammetto che, entrato in sala, non sapevo praticamente nulla della pellicola. Da qualche parte avevo letto si potesse trattare di un film horror sull'uomo nero (e subito un terrore atavico si era impadronito di me ricordando con sgomento il vecchio 'Boogeyman' (2005) e tutti i suoi sfortunatissimi seguiti), ma avevo pochissime informazioni. Immaginavo potesse essere anche una sorta di 'Paranormal Activity' (2007), e in quel caso la curiosità di vedere l'interpretazione sicuramente molto personale del regista mi affascinava. Insomma, ero pronto a farmi stupire ancora una volta da Balaguerò, ma non ero pronto a un thriller così velenoso e subdolo.