Quattro episodi su sette, con ancora nove puntate (tre di questa settima stagione e sei dell'ottava) prima di veder calare il (o un) sipario su uno dei fenomeni televisivi più imponenti di questo ventunesimo secolo. In molti ci eravamo chiesti come sarebbe cambiato Il Trono di Spade con il sorpasso definitivo dello show rispetto alle trame letterarie libri di George R.R. Martin e questi prima quattro episodi hanno in parte risposto alle nostre domande. Due sono i più evidenti e principali aspetti della piccola rivoluzione che David Benioff, D.B. Weiss e compagni hanno attuato con la settimana stagione del Trono.
VOTO:[rating: 4.5]
Ci eravamo lasciati, alcuni mesi fa, con alcune tiepide riflessioni sulla calante qualità della terza stagione e con qualche dubbio legato al rischio del lavoro di rimaneggiamento a cui gli sceneggiatori sarebbero stati costretti. Bene, al termine della quarta stagione (con qualche mese di ritardo, lo so) posso dire che questi rischi sembrano scongiurati grazie a dieci episodi che hanno ritrovato equilibrio e armonia. E soprattutto grazie a due riuscitissime intuizioni.
VOTO: [rating:4]
Le ferite inflitte agli appassionati dal nono episodio della Terza Stagione stanno inziando a rimarginarsi solo ora e sul web iniziano a comparire i volti dei nuovi personaggi pronti a entrare in scena nella Quarta: quale momento migliore per fare un bilancio sulla stagione conclusasi questa primavera? Giochiamo a carte scoperte: la Terza Stagione non è al livello delle due precedenti. La narrazione spedita, l’equilibrio tra tutte le trame narrate, la capacità di confezionare episodi intensi anche quando si lasciavano dialogare i personaggi (per esempio le sfide verbali tra Petyr ‘Baelish’ Ditocorto e Lord Varys) sono, purtroppo, un ricordo (o quasi). Tutto l’impianto che aveva reso le prime due stagione perfette, qui inizia a scricchiolare mostrando debolezze strutturali che, spero, non arriveranno a far crollare l’intero castello. E la cosa, dal mio punto di vista, è molto allarmante. Perché? Presto detto.
Prima di recensire questo volume di racconti voglio lanciare un messaggio di speranza a tutti i giocatori di ruolo: 'Wild Cards' è nato proprio in seguito a lunghe sessioni di roleplay a cui George R.R. Martin e il suo gruppo di giocatori/scrittori si sono dedicati per più di un anno (erano i gloriosi anni ottanta). Morale: il gioco di ruolo non è una perdita di tempo e da tutti i personaggi, le situazioni e i mondi creati in ore e ore di pianificazione si può ricavare qualche soldo. Più di qualche soldo a patto di chiamarsi George Martin.
Dopo il successo indiscusso e del tutto meritato della prima stagione, c’erano alcune incognite che, in potenza, gettavano qualche ombra sul proseguo di questa straordinaria saga fantasy. Una su tutte: come se la sarebbero cavata sceneggiatori e registi (soprattutto questi ultimi) con le battaglie su vasta scala proprie del secondo capitolo delle Cronache? Non era una scommessa da poco perché se la prima stagione, chiusasi con la morte di Eddard Stark e con l’inizio della guerra dei cinque Re, aveva svolto alla perfezione il suo ruolo preparatorio adesso non sarebbero bastate le ottime location esterne. C’erano eserciti da mettere sulla scacchiera e flotte immense da disporre tra Roccia del Drago e le Rapide Nere.