Prima di recensire questo volume di racconti voglio lanciare un messaggio di speranza a tutti i giocatori di ruolo: 'Wild Cards' è nato proprio in seguito a lunghe sessioni di roleplay a cui George R.R. Martin e il suo gruppo di giocatori/scrittori si sono dedicati per più di un anno (erano i gloriosi anni ottanta). Morale: il gioco di ruolo non è una perdita di tempo e da tutti i personaggi, le situazioni e i mondi creati in ore e ore di pianificazione si può ricavare qualche soldo. Più di qualche soldo a patto di chiamarsi George Martin.
Premetto che non sono un amante della fantascienza umoristica letteraria, anzi, sono uno di quei musoni che mal digeriscono le inclinazioni troppo facete del genere. Perciò nell'esprimere un giudizio sulla 'Guida galattica per autostoppisti' (1979) non riesco a prescindere da questo aspetto: in due parole, non mi è piaciuto un granchè. In effetti ha al suo interno tutte le cose che riescono a infastidirmi con una certa efficacia: tecnologia burlesca, stile scanzonato e ammiccante nei confronti del lettore, situazioni improbabili che si risolvono in modo altrettanto improbabile grazie a una struttura fluida, persino eterea, in cui 'tutto è concesso'.
Nonostante manchino quasi sei mesi al debutto nelle sale de 'Lo Hobbit: La Desolazione di Smaug' (12 dicembre 2013) la febbre inizia a salire anche (e soprattutto) grazie al trailer uscito qualche giorno fa (lo trovate in coda a questo breve pezzo). Dopo un primo capitolo non perfetto ma quasi, riuscirà Peter Jackson a replicare il successo?
Dopo il successo indiscusso e del tutto meritato della prima stagione, c’erano alcune incognite che, in potenza, gettavano qualche ombra sul proseguo di questa straordinaria saga fantasy. Una su tutte: come se la sarebbero cavata sceneggiatori e registi (soprattutto questi ultimi) con le battaglie su vasta scala proprie del secondo capitolo delle Cronache? Non era una scommessa da poco perché se la prima stagione, chiusasi con la morte di Eddard Stark e con l’inizio della guerra dei cinque Re, aveva svolto alla perfezione il suo ruolo preparatorio adesso non sarebbero bastate le ottime location esterne. C’erano eserciti da mettere sulla scacchiera e flotte immense da disporre tra Roccia del Drago e le Rapide Nere.
Per arrivare preparato a uno degli appuntamenti cinematografici più attesi dell'anno, avevo riletto poco tempo fa 'Lo Hobbit' (in una versione con tanto di domande di comprensione, non si sa mai) riscoprendolo molto più ricco di avvenimenti di quanto ricordassi. Perciò mi accompagnava in sala, memore delle capacità di adattamento mostrate da Jackson ne 'Il Signore degli Anelli', la consapevolezza che in quanto ad avvenimenti, 'Lo Hobbit' è denso quanto una zuppa di lenticchie.
La mia prima lettura de 'Lo Hobbit' (1937, pubblicato però in Italia nel 1973) risale ai gloriosi tempi delle scuole medie, per merito di una professoressa di italiano decisamente illuminata. Avevo ricordi piuttosto confusi in merito e in previsione dell'imminente uscita cinematografica, ho deciso di rileggerlo. E la cosa mi ha richiesto poco più di un paio di giorni.
Non posso certo dire che leggere i romanzi di Donaldson in inglese sia una passeggiata perciò le premesse di questa recensione sono le stesse che avevo fatto, al tempo, per le mie considerazioni su 'Fatal Revenant', il precedente (e secondo) capitolo della quadrilogia. Aggiungo che questo romanzo in particolare, e l'ho scoperto frugando un po' nei forum anglofoni, ha un livello di difficoltà linguistica molto elevato anche per lettori madrelingua perciò le mie considerazioni esulano dagli aspetti stilistici che, francamente, non sono in grado di valutare.