Rimaneggiare un pilastro dell'horror come 'La Casa' di Sam Raimi (1981) proponendo qualcosa che assomiglia tantissimo a un remake può essere pericoloso, se non persino fatale, per un regista alla sua prima prova. Anche se lo stesso Raimi insieme a Bruce Campbell (Ash) danno la loro benedizione al progetto. La buona notizia, viste le premesse apocalittiche, è che Fede Alvarez (classe 1978) non è stato schiacciato dal peso di un progetto così ambizioso. La cattiva notizia è che 'La Casa' non riesce a essere più che un bell'omaggio al capolavoro di Raimi.
E siamo dunque arrivati al terzo capitolo del super eroe ferroso per eccellenza, Anno 1 DV (Dopo Vendicatori). Nel bene e nel male, il progettone disney-marvelliano è destinato a deformare la resa di ogni singola pellicola che ha per protagonista uno dei vendicatori. Questo era già successo causando uno stacco notevole di rendimento tra il primo Iron Man e il suo seguito: Iron Man 2 era una pallidissima imitazione del predecessore a mio avviso persino ricercato nella sua mediocrità in modo da alzare la resa de 'I Vendicatori' e trasformandolo in un film interlocutorio, senza spina dorsale. Iron Man 3, seppure in misura molto minore, soffre della stessa malattia. E questo non fa ben sperare per tutti i film DV che ci aspettano nei prossimi anni.
VOTO: [rating: 2.5]
Valutare in modo sereno 'Oblivion' non è per me semplice perchè si tratta di un film di fantascienza, e non ne vediamo tantissimi al cinema. Questo lo investe da un lato di molta aspettativa, dall'altro tenderebbe a smussare gli spigoli di una sana critica costruttiva. Tondeggianti o meno che siano, però, per quanto mi riguarda gli spigoli ci sono eccome.
Pochi giorni sono passati dalla notizia che già infiamma l'attesa estiva oltreoceano: la CBS trasmetterà a partire dal 24 giugno 'Under The Dome', serie TV tratta dall'omonimo romanzo di Stephen King uscito nel 2009. Ovviamente ancora non è dato sapere se è quando la produzione firmata da Brian K. Vaughan (bimbo prodigio marvelliano e persino sceneggiatore lostiano) arriverà in Italia ma visto che ormai le frontiere delle streaming oltrepassano quelle degli stati, vale comunque la pena parlarne. Prima di tutto, da quello che ci è dato sapere, Vaughan riadatterà le quasi mille pagine del romanzo in un formato più consono ai tempi televisivi permettendosi estrema libertà nella gestione del plot (un finale differente?).
Finalmente, e lo dico forte e chiaro FINALMENTE, un regista americano raccoglie e ripropone quello che in Europa (soprattutto in Spagna) si fa da più di un decennio: un horror coraggioso, che non ha paura di osare. Che si scrolla di dosso la ruggine.
Le configurazioni iniziali della curva frattale offrono scarse indicazioni sulla struttura matematica sottostante. (Ian Malcom)
La vita, si sa, è fatta di spartiacque. Eventi eccezionali (o banali) che chiudono un capitolo e ne aprono un altro cambiando il nostro modo di percepire la realtà e di relazionarci con essa. Questa regola vale anche per il cinema, un insieme di mille vite vissute attraverso i milioni di personaggi del grande schermo.
Gli americani da sempre tendono a ovattare tematiche sociali complesse o che si prestano a chiavi di lettura potenzialmente molto crude. Hanno una predilizione per il lieto fine e quasi mai, davanti a una scelta realistica ma cruda che si contrappone a una più buonista è politically correct scelgono la prima ipotesti.
Capita (di rado) che un regista entri talmente tanto nel ruolo di se stesso da creare un genere cinematografico a parte, che riguarda lui e lui soltanto. E se questo si accompagna a un successo stratosferico, ecco che criticare un film di Tarantino perchè è tarantiniano diventa impossibile. Piace o non piace, e se appartenete al primo gruppo di gradimento, diventa inevitabile perdonargli ogni assurdità o pacchianeria.
Che la Forza conferisca ai suoi fruitori capacità di preveggenza è cosa risaputa (Anakin e Luke vedono frammenti di un tragico futuro quando fondono il loro spirito all'energia mistica), ma che questo potere si potesse trasmettere anche agli appassionati come il sottoscritto è una novità!
[rating:4.5]
Quando un artista decide di trasmettere attraverso le sue opere qualcosa di molto personale ci sono due possibili risultati: il primo è che si trattava di esperienze talmente intime da produrre qualcosa di troppo criptico e scentrato (penso ad 'Antichrist' (2009) di Lars Von Trier, per dirne uno), il secondo è che a prescindere dall'intimismo è talmente tanta la passione che l'opera nella sua completezza non può fare a meno di coinvolgere (penso al romanzo 'Misery' (1987) di King, una metafora sulla dipendenza). 'Cloud Atlas' appartiene al secondo caso.
E' fresca di qualche giorno la notizia riportata da 'La Repubblica': il pubblico dello stivale sta iniziando una lenta metamorfosi che lo porterà, pare, a preferire i film in lingua originale rispetto a quelli doppiati. Per noi italiani, che veniamo da un'antica e prestigiosa scuola di doppiaggio, si tratta di uno schiaffo morale: sembra essere la formalizzazione che qualcosa nel mondo del doppiaggio, purtroppo, è cambiato (non ultima la polemica su 'Lincoln' (2012) e sulla voce italiana, Pierfrancesco Favino, di Daniel Day Lewis).