Sono passati due anni e mezzo, Dune è tornato al cinema e finalmente ho capito cosa non avevo capito di Denis Villeneuve.
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Un meraviglioso gioco di specchi che riflette ciò che già conosciamo ma che ci porta a imparare cose nuove.
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Un film sulla sofferenza, sull’amore, sulla rabbia, il dolore. E su una speranza troppo difficile da sopportare.
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Una bella contaminazione di generi, una critica social e una regia di tutto rispetto: Nope non è perfetto, ma merita di essere visto.
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Abbiamo un problema, anzi, ho un problema: qualcosa ha messo in stand-by il mio immaginario.
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Cosa puoi fare se non hai grandi idee e se ti ritrovi a metà del guado, quando entrambe le sponde sono alla stessa distanza?
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Una squisita favola americana, un caleidoscopio, uno specchio che riflette anche un profondo dolore artistico.
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Il mantra “è già stato detto tutto” rischia di indirizzarci su un sentiero arido di sostanza ma ricco di forma.
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C’era davvero bisogno di un nuovo capitolo sull’uomo pipistrello? Dipende dall’orecchio di chi ascolta e da quale lato della medaglia preferiamo.
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Disclaimer: questa non è una recensione. Non è un pro o un contro al vetriolo (ne ho già visti troppi in giro) nei confronti di un buon film.
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Un immaginario collettivo è più pericoloso che utile?
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Forse, e dico forse, con Dune ho capito come prendere Denis Villeneuve quando si occupa di fantascienza. O forse no.
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