Con Spider Man: Far From Home si chiude la gloriosa e secondo me irripetibile (non solo ora, credo non vedremo mai più niente del genere) fase 3 dell’MCU. Lo fa con un tono leggero quando serve, scanzonato, adolescenziale ma anche capace di richiamare la drammaticità di Avengers: EndGame. Lo fa, insomma, in perfetto stile Marvel.
Aggiungo che a me questo Spider Man piace molto. Tom Holland è azzeccato per l’Uomo Ragno teen-ager, così come lo sono tutti i personaggi che orbitano intorno a lui. Al netto di giudizi di merito su sceneggiatura, effetti speciali, richiami più o meno aperti alla morte di Tony Stark, al netto di quanto abbia convinto Mysterio come villain (a me è piaciuto), c’è però una cosa che mi ha stupito e mi fa fatto riflettere (e sì, i film Marvel possono ANCHE far riflettere). Una tendenza che sembra trasversale a cinema, serie tv e che si rafforza col passare del tempo anche nella ‘narrativa’ di intrattenimento: il concetto di verità.
Ovviamente l’eminenza grigia dietro questa architrave concettuale è Mysterio e, a conti fatti, quello che incarna. Un ingannatore. Qualcuno che ha capito che la verità è un concetto del tutto astratto nel presente che siamo riusciti a confezionarci (perché il presente di Spider Man è esattamente il nostro). Qualcuno che ha capito che manipolare la realtà, trasformare tutto in un gioco di ombre, è solo la parte più complessa della mistificazione, ma si tratta di una componente che varrebbe ben poco se non si rivolgesse a chi VUOLE credere a ciò che viene mostrato.
Cito a memoria:”Le persone sono disposte a credere a qualunque cosa“. Non è una frase da super-criminale bensì una drammatica profezia o il mantra di un politico molto navigato. La gente vuole credere (un desiderio ben diverso dal “I want to believe” di X-Files). Ma non vuole credere a qualcosa di imprevedibile, a qualcosa in grado di perforare la quinta o sesta parete, di penetrare il velo di menzogne con il quale i poteri forti cercano disperatamente di nascondere tutto. Quel credere, quel rito di iniziazione del libero pensiero di cui televisivamente si è fatto portavoce Fox Mulder negli anni ’90, distruggeva per costruire.
Il credere moderno, il voler credere 4.0, ha tutto un altro sapore. Ha il sapore di un desiderio autocelebrativo. Voglio credere a ciò che mi fa più comodo. A quello che conferma la mia visione del mondo, che esalta le mie pulsioni (qualunque esse siano). Non c’è ricerca della verità, ma celebrazione di UNA verità in mezzo a molte, quella che più mi piace. Quella a mia misura.
Se ne sono accorti in molti, al cinema e in tv. Tanto che Mysterio lo dice chiaro e tondo. E lo dice in un film di supereroi che nella narrazione collettiva ‘sono cose per ragazzi, da cervello spento‘. Se ne sono accorti anche gli sceneggiatori di Chernobyl con tutto un altro registro e con strumenti ben diversi ma con obiettivi del tutto comuni.
Anche in quella magnifica serie televisiva c’è una grandiosa celebrazione della verità. Una verità a posteriori, certamente. Una verità che arriva dal passato ma che non ha perso niente della sua potenza. Del suo desiderio di affermazione. Della sua capacità di esistere in quanto UNICA verità.
Perciò da una parte Mysterio che denuncia come il presente sia composto da una pletora di realtà su misura tra le quali basta scegliere la più desiderata. Dall’altra Chernobyl e la ricerca ossessiva, coraggiosa, contro tutti e tutto di un’unica, definitiva, certa e cristallina verità. E le difficoltà per raggiungere lo scopo. Un dopo e prima, un prima e dopo la cura (o la malattia) degli anni 2000. Ma non è una patologia di cui nessuno ha consapevolezza. Questo è chiaro. Perché se i segnali arrivano da osservatori così diversi, con tempi e modi così differenti, vuol dire che il paziente zero è morto e che qualcuno sta correndo ai ripari perché il rischio è quello di una pandemia letale per la quale il mondo contemporaneo non ha anticorpi. E per la quale trovare una cura è, e sarà, sempre più difficile. Non si dica che non avevano provato ad avvisarci in tutti i modi.