Da quando, tre anni fa, sono entrato tra gli eletti autori italiani di fantascienza che hanno avuto il merito e la fortuna di vedere una loro opera pubblicata dalla prestigiosa collana Urania (Mondadori), ho subito dovuto fare i conti con una buona dose di critiche che, incessanti, travolgono più o meno chiunque debutti su Urania. Da Evangelisti (escluso) in poi. Chiedo subito scusa se questo assunto temporale non è corretto al 100% ma grossomodo lo spartiacque è quello.
Il dibattito è serrato e ha picchi di intensità in corrispondenza alla pubblicazione di un autore italiano ma in realtà la tematica della ‘fantascienza all’italiana’ trova spazio un po’ dappertutto, sia in termini di tempo che di luogo.
Riassumendo e semplificando c’è una fetta di lettori (più o meno ampia, non riesco ad avere statistiche in merito e nemmeno a farmi un’idea precisa) piuttosto determinata e chiassosa, nel senso buono del termine, che ci tiene a rimarcare ogni volta quanto la fantascienza italiana sia scadente, abbia dialoghi poco funzionali, idee pretestuose, ambientazioni fallimentari e una tendenza inspiegabile a proporre sempre e comunque ‘thriller fantascientifici’. Gli autori italiani, me compreso (anche se tendo a essere escluso almeno nominalmente da qualunque elenco), non sono all’altezza. Non c’è redenzione, non c’è possibilità e la speranza ha del tutto abbandonato questo gruppo di lettori. Occorrerebbero decenni di palestra creativa per avvicinarsi anche solo al più becero autore anglosassone mentre il passato, e lo straniero, appaiono fulgidi ed appaganti. In grado di trascinare fuori dalla misera palude italica il lettore scorato. I più comprensivi riconoscono comunque un impegno, ma i risultati lasciano alquanto a desiderare. Insomma i più teneri all’interno di questa popolazione dicono che gli autori italiani:”Si applicano ma non ci arrivano”.
Sia chiaro, non ho la pretesa di piacere a tutti e se vogliamo nemmeno a qualcuno. Le critiche sono il prezzo da pagare per la pubblicazione, ed è sacrosanto diritto del lettore esprimere il suo pensiero. Anzi: se non si hanno le spalle abbastanza larghe, conviene lasciare i propri scritti in un cassetto. Perciò ripeto: niente di tutto quello che dico ha a che fare con quello che scrivo in prima persona ma si vorrebbe collocare a un livello un pochino più alto. La libertà di critica è sacrosanta, è va tutelata in ogni sua forma.
La cosa che però mi destabilizza è l’acrimonia con la quale vengono trattati agli autori italiani. So bene che in genere le critiche sono molto più rumorose degli apprezzamenti ma la modalità con la quale la spietata, cinica e inossidabile crociata distruttiva viene condotta mi sorprende ogni volta. Faccio un esempio: io sono appassionato di cinema horror e non c’è niente che possa scalfire questa mia passione. Nemmeno stagioni mediocri, o una serie di film poco interessanti, potrebbero mai farmi dire:”Non guarderò mai più un film horror perché sono deluso da quelli che ho visto negli ultimi anni”. Rilancio: in ogni pellicola cerco comunque qualche idea originale, un passaggio interessante, una manciata di fotogrammi che possano dare un senso e un sapore nuovo alla pellicola. E spesso, anche in un prodotto mediocre, trovo qualche piccola perla. Questo, per me, significa amare un genere. Trasversalmente alle delusioni, indipendentemente dalla qualità media ciò che vedo.
Perciò faccio fatica a comprendere come amanti della fantascienza, lettori navigati che hanno attraversato periodi storici vari e variegati, finiscano con il ribadire con tanta acredine che della fantascienza italiana non si salva praticamente nulla. I difetti vengono snocciolati come grandi di un rosario, ogni ambito del romanzo dissezionato e demolito, le eventuali idee originali comunque insufficienti e annegate nella devastante struttura sintattico-narrativa. Come si può amare la fantascienza e mortificare così tanto la fantascienza italiana? Ripeto, non pretendo che per campanilismo tutto quello prodotto in patria si considerato oro, ma trovo molto pretestuoso e poco realistico accomunare scrittori di età, formazione, storia, passioni e stile differenti in una spazzatura indifferenziata tutta ugualmente difettosa.
Perché allora credo sia legittimo iniziare a pensare, ed è questa la riflessione, che il vero problema sia il suffisso ‘italiana’ alla parola fantascienza, e non il suo reale contenuto. L’unico risultato di questa crociata ideologica, non trovo altro modo per definirla ma sarò ben lieto di essere smentito, potrebbe non essere però un improvviso risveglio dei grandi letterati dormienti che riusciranno, finalmente, a deliziare i lettori con opere esterofile o anglosassoneggianti. Piuttosto potrebbe essere l’esodo degli autori di fantascienza verso altri generi dai quali magari non otterranno come frutto del loro lavoro elogi e dichiarazioni d’amore, ma nemmeno un arido terreno dal quale raccogliere solo polvere e sassi.
di Maico Morellini
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18 Comments
Antonio Lanzetta
Come posso non quotare in toto il tuo post? Il fatto è che il lettore di fantascienza medio italiano è di base avverso al cambiamento: vive all’ombra di classici inossidabili degli anni 60-70… a parte quei libri, tutto il resto è fuffa. Questo è forse l’atteggiamento che ha sempre condannato sul nascere la fantascienza italiana…
Lanfranco Fabriani
Il bello è che poi questi lettori, a mezza bocca, quando gli storci un braccio dietro la schiena o gli riempi il bicchiere una volta di troppo, cominciano a lamentarsi del fatto che non trovano più nulla di interessante, che la fantascienza è diventata noiosa, che la fantascienza è morta. e che bei tempi erano quelli di Asimov e Heinlein…
Francesco Troccoli
Forse, sulla base di quanto Maico lamenta, sarebbe ora di voler parlare (anche) a **nuovi** lettori di FS. Avvicinare cioè i non lettori di FS alla FS, far loro scoprire, anche solo una volta che può divenire la prima di una serie, il significato del genere, la sua universalità, la sua capacità di affascinare chiunque abbia un minimo di fantasia. Con buona pace dei lettori “veterani” più critici. Io dico #Fantascienzapertutti. Quando scrivo è questo il mio must, poi, “speriamo che me la cavo”.
Marco Corda
Maico e Francesco, sapete che sono di parte. Cito un mio amico costruttore italiano di altoparlanti HI-END apprezzatissimi negli USA. Gli italiani snobbano il prodotto nazionale (con qualche eccezione) fino a che non diventa conosciuto ed apprezzato all’estero, specialmente in alcuni stati chiave, allora cambiano opinione. Ometto, per amore di patria, le coloriture che ha usato per esprimere questa che ritengo una triste verità.
Andrea Angiolino
Da autore di giochi, prima che di qualche raccontino fantascientifico, testimonio che la situazione per gli autori ludici è la stessa. O almeno lo è stata, sino a una decina di anni fa. Ora abbiamo giochi di autori italiani che vendono centinaia di migliaia di scatole nel mondo. Ci sono autori nostrani che collaborano direttamente con i maggiori editori stranieri. Gli appassionati italici sembrano aver cambiato idea e l’esterofilia finalmente è sconfitta. Grazie alla “certificazione” ottenuta all’estero, però. 😉 Immagino però che se facessimo vino, olio o magari vestiti e automobili di fascia alta saremmo stati all’opposto oggetto di sfegatato campanilismo?
Angelo F
Ciao Maico.
Anni fa, la Mondadori decise di pubblicare “Il potere assolito”, best seller all’estero (e da cui poi fu tratto un fortunato film), mettendo in copertina come autore un certo David B. Ford.
L’autore, statunitense, aveva la “sfortuna” di un cognome italiano Baldacci, che la casa editrice, per paura di allontanare i lettori dal libro, censurò, riducendolo a una misteriosa iniziale e ribattezzando lo scrittore con un americanissimo Ford…
Per quello che riguarda i thriller e i gialli la situazione credo sia un po’ migliorata, soprattutto grazie ad un nutrito gruppo di giallisti italiani che ha saputo fare breccia nel cuore dei lettori.
Questo è mancato in Italia, forse anche per lo scarso interesse della fascia più ampia di pubblico nei confronti della SF (almeno da un punto di vista letterario, visto che al cinema mi sembra vada benissimo).
In ogni caso, il fatto che lo scrittore italiano sia meno attraente di quello straniero è scritto a fondo nel cuore di buona parte dei lettori e la battaglia contro questo pregiudizio è ancora tutta da fare.
Ciao
Angelo F.
Maico Morellini
Grazie a tutti dei commenti!
E’ un argomento spinoso e dalle molte sfaccettature che a volte esulano dalla sola tematica ‘fantascienza’.
Io accetto le critiche, mi va anche bene che ci sia nei confronti degli autori connazionali un occhio più attento, ma in generale alcune bocciature ‘a priori’ e ‘tout court’ non riesco a comprenderle. Un romanzo, o un racconto, hanno tanti aspetti sui quali potersi concentrare e pensare che mai nessuno di questi aspetti superi il vaglio di un certo tipo di pubblico (spero ridotto) mi fa solo dispiacere per l’occasione mancata di una sana critica costruttiva dalla quale poter imparare.
Lia Tomasich
Parole sacrosante. Per la FS italiana la vita è durissima. Ma l’importante è che ci siano autori come Maico e molti altri determinati a non lasciarsi scoraggiare, nonostante tutto. Mollare mai.
Maico Morellini
Grazie Lia,
mollare non è e non sarà mai un’opzione! 🙂
vittorio catani
Trovo riprovevole e deprecabile il fenomeno ricorrente d’una congrua componente del fandom italiano, litigiosa, presuntuosa, iper-suscettibile, complessata, colpevolizzante, inconcludente, che da oltre 50 anni starnazza con odio e livore e però commette sempre lo stesso sbaglio: è incapace di imparare dal passato – che forse neanche conosce – e dai suoi errori.
Si parla di mezzo secolo, e non è uno scherzo. Basta andare sui vecchi testi, le vecchie fanzine, per scoprire come – fin dagli albori del fandom, diciamo inizi anni ’60 – ci siano state continue liti e siano volate parole grosse. Ne narrava Inìsero Cremaschi nel volume della Nord, da lui curato, Futuro”. Il meglio di una mitica rivista di fantascienza (1978) che ristampava alcuni titoli apparsi, appunto, su “Futuro” fondata da Aldani, Lo Jacono e Raiola nel 1963. Cremaschi vi riportava anche la descrizione della lotta all’ultimo sangue tra “rambelliani” e “aldaniani”, due gruppi – il primo ruotante attorno alla testata “Galassia” (Ed. La Tribuna, Piacenza) e alla curatrice Roberta Rambelli, il secondo appartenente a “Futuro” – che si contendevano il primato della “autentica fantascienza”. Quanto alla fantascienza italiana, i “rambelliani” erano ferocemente avversi a quella pubblicata su “Futuro” (che tendeva a un linguaggio più letterario) e comunque non erano molto favorevoli alla sf italiana tout court. Rivedendo quelle pagine, le ho trovate estremanente attuali e istruttive. Penso che leggerle o rileggerle oggi non farebbe male a nessuno. Per capire il presente bisogna conoscere il passato.
Altro esempio autorevole. Nel suo saggio in volume Le frontiere dell’ignoto, (Nord, 1977) dedicato alla fantascienza scritta in italia, Vittorio Curtoni dedicava un intero capitolo alle fanzine e alle liti all’ultimo sangue fra gruppi, gruppetti, gruppettini e gruppettuscoli.
Potrei proseguire con riferimenti, ma basterà che prendiate vecchie fanzine e le sfogliate, per affogare in anatemi, insulti, veleni etc. etc. etc.
In Italia siamo stati sommersi da miriadi di pubblicazioni amatoriali perennemente in lotta l’un l’altra, perchè ciascun fondatore o gruppo o curatore era convinto di possedere la vera, intima e sacra formula della fantascienza, ma specie di quella che gli italiani “avrebbero dovuto scrivere”. In questi gruppi, già composti da pochissimi individui, scissioni e secessioni interne a catena provocavano la nascita di nuove fanzine (“ora vi faccio vedere io come e cosa si stampa…”) e in definitiva, alla fine non di rado queste pubblicazioni si ritrovavano ad avere un unico creatore, curatore, direttore, scrittore, e probabilmente anche lettore.
Il pomo della discordia? Sempre lo stesso: ciascuno aveva la magica idea precisissima e indiscutibile (oggi diremmo non negoziabile) di “cosa” fosse la “vera” fantascienza da pubblicare e di come sarebbe “dovuta essere” quella scritta dai nostri autori. Altrimenti, si invitavano gli italiani a non scrivere affatto, in quanto assolutamente negati per la science fiction (sindrome F&L, alias dell'”Ufo di Lucca”).
Va da sé che – forse per errore – ci sono state, nei decenni, e ci sono, anche fanzine valide e serie: per esempio “The Time Machine”, “L’aspidistra”, “THX 1138”, “Intercom” (ora solo online), “L’Eterno Adamo”, “Sevagram”, “The Dark Side”, “Arcon”, “Un’ambigua utopia”, “Quark”, “Fantasia sociale”, “Ucronia”, “Il Re in giallo”, “Blade runner” e altre. Tutte, o quasi, avevano vita brevissima o breve. E non va dimenticato che: 1) i nostri migliori autori, curatori e traduttori (anche qualche editore) vengono – e continuano a venire – in pratica tutti dal fandom; 2) nei tempi più bui (anni ’80, quelli del riflusso), con la chiusura a raffica di collane e riviste, la fantascienza italiana sopravvisse grazie a qualche fanzine superstite, in particolare “Intercom” e “The Time Machine”. Questo per quanto riguarda il passato, ma va da sé che anche in questo decennio ci sono (o ci sono state) fanzine ottime, talora più professionali che amatoriali (un tempo, per queste pubblicazioni si usava il termine prozine (cioé professional magazine). Cito per tutte “Avatar”, “Carmilla” (versione cartacea, oggi online), “Next”, “Fondazione”, e certo dimentico qualche titolo.
Insomma era – ed è – molto facile e comodo sputare sentenze, giudizi, offese, stando seduti dietro una tastiera, ma le persone si giudicano non da ciò che dicono bensì da cio’ che HANNO FATTO in CONCRETO: occorre “fare”, sia pure sbagliando.
Molti di noi alcune cose le hanno fatte, per la sf. Nel bene o nel male. E sono sotto gli occhi di tutti. Basta sfogliare il Catalogo Vegetti, i documenti delle Convention, i cataloghi delle case editrici, i programmi di rassegne cinematografiche.
Gli altri, coloro che solo starnazzano, berciano e hanno brillanti soluzioni globali, cosa fanno, uno per uno? Cosa hanno fatto? Cosa hanno creato, cosa ci mostrano, cosa lasciano di visibile in eredità? Dove sono le loro opere, di qualunque cosa si tratti: un libro, un titolo, un dipinto, una convention?
Ci rendiamo – e si rendono lorsignori – conto di quanto si sarebbe potuto FARE per la fantascienza in 50 anni (mezzo secolo) se ciascuno di noi (fan, fanzinisti, fanzinari, partecipanti, e soprattutto ora anche blogger, con le vastissime potenzialità di Internet) avesse posto, o ora ponesse, anche un solo mattone?
E’ stato sempre, ed è, un modo d’agire frustrante e da frustrati, il cui scopo sempre più dichiarato, specie attualmente, è “distruggere”: ben altro che FARE o EDIFICARE. Un atteggiamento che denota anche una mancanza di senso di responsabilità davanti al potere della Rete, talora sfruttato per vere e proprie campagne di linciaggio, a volte – duole dirlo, ma è una cosa indegna e va detta – con un livello di insulti di stampo razzista-omofobo. In realtà siamo perfettamente in linea con i tempi: dossieraggio e “ciarpame” (in sedicesimo).
Ok, che si continui a remare contro. Intanto, finora sono emersi non fatti, ma fanta-seghe mentali.
Padronissimi se tanto vi piace, ma per favore senza chiamare in causa gli estranei
vittorio catani
PS – L’articolo sopra riportato è estratto da uno più ampio, scritto tempo fa sul mio Blog, http://www.fantascienza.com/blog/vikkor/, intitolato Fantascienza e fanta-seghe mentali.
Maico Morellini
Vittorio grazie per questo tuo commento e per la testimonianza di qualcuno che, come te, ha visto e vissuto le ‘lotte tra fazioni’ al momento della loro nascita.
Per me che ignorava questi retroscena storici si aggiunge un tassello fondamentale e utile alla storia della fantascienza italiana, che mi è molto utile per definire ancora meglio le mie idee e impressioni in merito.
Grazie ancora.
Maico Morellini
Ho recuperato l’articolo e l’ho letto: scritto nel 2010 è ancora molto, molto attuale. E temo lo sarà anche negli anni a venire.
Kremo
grandissimo intervento/articolo di Vittorio. L’importante è FARE, poi il tempo butterà via le cose sbagliate, lasciado quelle giuste (per questo si legge la Storia)
giuseppe festino
Non ho ancora letto tutti i commenti allo scritto di Maico, e magari ripeterò qualcosa di già detto da chi mi ha preceduto. Io mi sono nutrito sin da ragazzo di sf anglosassone. Ma ho imparato già su Urania ad apprezzare anche quella francese e degli altri Paesi. E anche quella italiana. La mediocrità l’ho trovata, poco o tanta, in qualunque testo, indifferentemente. Così come le cose eccelse. Ho imparato che i gusti sono soggettivi; che certi libri che mi hanno esaltato, ad altri non sono piaciuti. E che il bello di tutto ciò consiste nel fatto che se ne può discutere, scambiarsi opinioni, confrontarsi con altri appassionati. Chi alza i toni quando il giudizio degli altri non coincide con il proprio non ha capito quanto sia bella e stimolante la diversità dei punti di vista. E’ già tanto se costoro non si comportano come certi ultrà che denigrano gli “avversari”, che danno addosso a chi tifa per altre squadre. Hanno perduto il senso della sportività e ne fanno un pretesto per menare le mani. Quei lettori di sf che continuano a criticare gli italiani esaltando gli anglosassoni partono prevenuti. Sappiamo benissimo che li si poteva ingannare (oggi non più) con uno pseudonimo. E come ci rimanevano di m… nello scoprire come stavano le cose! Per concludere, e non per limitarmi a essere consolatorio, bisogna prendere certi giudizi per quel che valgono: pura e semplice invidia da parte di chi non sa comporre una frase corretta e vorrebbe brillare come scrittore. Lo sappiamo tutti, no? che i critici sono artisti mancati… Per nostra fortuna esiste qualche eccezione…
Maico Morellini
Ciao Giuseppe,
è un piacere leggerti qui.
La penso come te e a scanso di equivoci sono il primo che legge molto seriamente le critiche che vengono mosse ai miei scritti. Anzi, rilancio: alcune le utilizzo per provare a correggere la rotta, sperimentando nel tentativo di migliorarmi.
Ma, come dici tu, è proprio l’essere prevenuti che mi è alieno come atteggiamento.
Ettin
che ne pensi del NA sci-fi?
Ettin
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