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RL – ‘Exilium’ di Kim Paffenroth

Tempo di lettura: 3 minuti

Gli zombi, soprattutto di recente, stanno vivendo una sorta di gloriosa rinascita sia per interesse letterario (di qualità altalenante), sia per il rilancio garantitogli dalla serie tv ‘The Walking Dead‘. Diversi autori hanno incrociato i guantoni con il non morto divoratore di uomini per eccellenza e se alcuni di loro lo hanno fatto con prodotti decisamente scadenti (penso a Seth Grahame-Smith con il suo pessimo ‘Orgoglio e Pregiudizio e Zombie) era legittimo sperare che qualche buona idea, prima o poi, emergesse dal calderone creativo letterario.
E’ questo il caso di Exilium. L’idea di base è semplice da un lato, e geniale dall’altro. Chi è stato il più grande estimatore degli inferi, della morte e delle oscure regole che colpiscono i peccatori? Chi ha decritto in modo talmente preciso l’inferno da far dubitare che le sue visioni non attingessero a fatti realmente vissuti? Credo che siano queste le due domande alla base del lavoro di Kim Paffenroth, che da esperto studioso di Dante quale è, ci dà (e si dà) una personale e stimolante risposta. Dante è riuscito a presentarci il destino dei peccatori con così grande dettaglio perchè durante il suo lungo esilio in Europa ha assistito a una temibile pestilenza capace di trasformare i morti in zombi. L’est europa, con i suoi misteri e le sue mitologie (il vampiro occidentali, tanto per dirne una, nasce proprio lì), diventa perciò lo scenario nel quale un sofferto e disincantato Dante deve affrontare se stesso e la minaccia dei non-morti.
Il romanzo si sviluppa in capitoli ognuno dei quali legato, in qualche modo, a ciò che Dante ci racconterà poi nel suo Inferno. Questo è l’unico limite del romanzo che diventa troppo ripetitivo nel proporre brevi capitoli densi di avventure, che mirano a spiegarci da dove Dante abbia preso ispirazione. E’ un difetto che si sente, ma che tende a pesare molto meno quando diventa chiaro cosa vuole dirci l’autore. L’Inferno dantesco era un percorso verso il basso, lungo i gironi, con l’obiettivo di raggiungere il diavolo stesso, che dominava i peccatori dal fondo dell’enorme pozzo rappresentato dal Poeta. Qui Paffenroth capovolge la struttura ma non il senso ultimo della narrazione: Dante con i suoi compagni deve raggiungere la vetta di una montagna per trovare la salvezza dagli strigoi, i non-morti, ed è qui che incontrerà l’equivalente del demonio.
Un percorso inverso, quindi, denso di richiami alla Divina Commedia. In più ho molto apprezzato, soprattutto nei primi capitoli, il punto di vista di un letterato come Dante nell’approcciare a lingue e luoghi sconosciuti. L’attenzione che Paffenroth gli attribuisce nei confronti delle parole, e dei suoi a esse collegati, è molto interessante.
In conclusione, un buon libro con una buonissima idea alla base. Peccato per quel difetto di cui ho scritto che tende a trasformare alcuni capitoli del romanzo in un mezzo troppo pretestuoso di narrare ciò che l’autore voleva trasmettere.

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