Non posso certo dire che leggere i romanzi di Donaldson in inglese sia una passeggiata perciò le premesse di questa recensione sono le stesse che avevo fatto, al tempo, per le mie considerazioni su ‘Fatal Revenant‘, il precedente (e secondo) capitolo della quadrilogia. Aggiungo che questo romanzo in particolare, e l’ho scoperto frugando un po’ nei forum anglofoni, ha un livello di difficoltà linguistica molto elevato anche per lettori madrelingua perciò le mie considerazioni esulano dagli aspetti stilistici che, francamente, non sono in grado di valutare.
In ‘Against All Things Ending‘ il redivivo Covenant e il gruppo guidato da Linden Avery dovranno cercare soluzioni al risveglio del Serpente alla Fine del Mondo che minaccia di distruggere ogni cosa. Per farlo affronteranno le catacombe dove le Ombre avevano costruito il loro regno (una Moria intrisa di magia) e dove è nascosto il figlio adottivo di Linden. Dotato di grandissimi poteri è indispensabile sia per l’amore che la madre nutre nei suoi confronti, sia per i talenti che possiede. Linden e Covenant, poi, dovranno confrontarsi con tutti i nemici della Landa che ne desiderano la distruzione. Dall’Elohim rinnegato, alla moglie di Covenant vittima di un Posseduto e legittima portatrice dell’Oro Bianco. E’ difficile condensare la trama in poche parole perchè si tratta di un romanzo davvero molto molto ricco e che affronta eventi di una portata talmente grande da disorientare, in senso positivo, il lettore.
Come accadeva per i due romanzi precedenti, senza una conoscenza intima della Landa, di Thomas Covenant e di Linden Avery la portata e l’epicità degli eventi rischia di sfuggire al lettore ma non solo da un punto di vista narrativo, anche da un punto di vista concettuale.
Donaldson infatti, ed è su questo che mi vorrei concentrare in maggiore misura, affronta un percorso di crescita letterario notevole dalla fine degli anni settanta (periodo di uscita dei primi romanzi) a oggi. La prima trilogia di Covenant, oltre a essere un chiaro omaggio a Tolkien e alla sua Terra di Mezzo, aveva un approccio molto fisico agli eventi. Grandi eserciti, magia, guerre e combattimenti nello stile di un fantasy consueto e consolidato. Si percepiva una struttura concettuale, sotto lo strato fisico della landa, molto solida e articolata ma veniva esplorata solo laddove la narrazione lo rendesse necessario.
Con la seconda trilogia, quella del Sole Ferito (uscita quasi consecutivamente alla prima, nei primi anni ottanta), Donaldson sposta la sua attenzione verso un ‘male’ differente. Il Sole Ferito (‘The Wounded Land’) dimostra come il male sia riuscito a corrompere intimamente l’anima della Landa, della Terra nella quale si svolgono gli eventi narrati dall’autore. Se nella prima trilogia la minaccia era del tutto fisica, seppure con implicazioni concettuali, qui la Corruzione (non è un caso che Corruzione sia uno dei nomi del nemico della Landa) è penetrata nell’intimo dalla magia che anima ogni cosa. Si tratta di un male talmente radicato che tutto, rispetto a come lo conoscevamo dai romanzi precedenti, è cambiato.
Con questa terza e ultima trilogia (‘The Last Chronicles of Thomas Covenant’ per l’appunto, scritta vent’anni copi) l’autore arriva dove non si pensava fosse possibile arrivare. Come accennato, alla fine dello scorso romanzo la struttura stessa dell’intero Creato fantastico della Landa viene messa in pericolo. E tutto questo avviene in un contesto molto profondo nel quale le entità a confronto, chi per salvare la Landa, chi per distruggerla, dimostrano di avere anche un grande valore simbolico. Un esempio sopra tutti: i Maestri della landa, gli antichi Haruchai. La loro decisione di inibire la conoscenza del potere per impedire che qualcuno, a causa di quello stesso potere, possa farsi Corrompere e diventare uno strumento di distruzione è molto simbolica e attuale (anche in un mondo non fantastico).
Donaldson lancia una sfida a se stesso decidendo di mettere alla prova la sua capacità su un terreno molto scivoloso perchè molto denso, sia da un punto di vista mitico che da un punto di vista emotivo.
E questo, a volte, risulta un difetto. Tutto è talmente estremo da accentuare alcuni difetti narrativi, il primo sopra tutti riguarda proprio la protagonista Linden Avery. I suoi dubbi, le sue paure, le angosce e le debolezze sono ripetute allo sfinimento tanto da rendere odioso il personaggio (che sia una volontà dell’autore?). Per contro, proprio quando ci si ritrova sfiancati dai dilemmi esistenziali di Linden, tutto accelera regalandoci le ultime duecento pagine ricche e pregne di eventi.
Per chiudere questa lunga e frammentata disamina, ‘Against All Things Ending’ presta fede al suo nome e prepara il terreno a quello che sarà l’ultimo capitolo della saga. Lo fa chiudendo molte linee narrative in modo coraggioso e crudele, ma soprattutto facendo coincidere trame intessute addirittura all’epoca della prima trilogia ripagando lo sforzo della lettura in lingua originale e soprattutto facendo dimenticare i difetti di cui sopra.
E questo, secondo me, è un chiaro segno di come l’autore abbia creato il mondo fantastico dei suoi romanzi con una precisione rara.
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