Paul Thomas Anderson non è uno di quei registi da una pellicola all’anno (da non confondersi con Paul W.S. Anderson che si dedica a generi leggermente differenti, vedi Resident Evil).
E’ un regista moltro introspettivo, capace di attingere a pieni mani dall’inesauribile pozzo emotivo che è l’animo umano, e in grado di confezionare un veri e propri capolavori tra i quali ne ricordo uno sopra tutti: Magnolia (1999). Anche per questo che non è così prolifico: ogni volta che si mette dietro la macchina da presa, vista la maniacale perfezione che ne caratterizza il lavoro, deve per forza uscirne prosciugato.
Detto questo, dal mio punto di vista, ‘The Master’ non è il suo miglior film seppure forse è quello più ingombrante da un punto di vista emotivo.
Il reduce della Seconda Guerra Mondiale Freddie Quell (Joaquin Phoenix), vittima di turbe psichiche legate al sesso e all’abuso di alcool, non riesce a trovare un posto in una società post-conflitto mondiale e sbanda, letteralmente, ai margini del mondo civile. Incontra, per puro caso, Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), eccentrico e carismatico patriarca di un’organizzazione chiamata ‘La Causa’. Dodd è un conoscitore ed esploratore intimo dell’animo umano e vede in Quell un’estrema sfida (e una cavia) per le sue pratiche che mirano a riconciliare l’uomo con i suoi demoni e le sue inquietudini. Di qualunque tipo esse siano. Inzia perciò un rapporto di interdipendenza tra i due che, in qualche misura, cambierà entrambi.
Per cominciare ho il sospetto che da un punto di vista squisitamente narrativo chi non conosce ‘Scientology‘ e il suo fondatore Ron Hubbard parta con un forte handicap nell’apprezzamento della storia. Per tutto il film Anderson ammicca, in modo molto politically correct, all’organizzazione spirituale che conta, in America, un numero impressionante di adepti (tra cui anche celebrità come Tom Cruise e John Travolta). Non dà mai giudizi sulla fondatezza delle tesi dei cultori della ‘Causa’ ma si è concentra sulla dinamiche psicologiche tra Lancaster Dodd e Freddie Quell.
Perciò ‘The Master’, alla fine, non è un film su Scientology quando sulla dipendenza di un uomo da un altro. Sulla difficoltà di trovare un proprio equilibrio e sulla facilità con la quale questo può essere perso. Eppure i riferimenti a Hubbard sono tanti e tali che non solo è impossibile ignorarli, ma diventano una componente fondamentale per la comprensione (e per l’apprezzamento) ultimo del film.
Per darvi un’idea di quello che intendo: il film ‘La Passione di Cristo’ di Mel Gibson partiva dal presupposto che tutti gli spettatori avessero una conoscenza piuttosto approfondita della religione cristiana e delle simbologie rappresentate dai personaggi storici mostrati. In quest’ottica poteva permettersi di fare salti logici importanti affidandosi a ciò che lo spettatore già conosce: stessa cosa per ‘The Master’ ma con la differenza che per un pubblico non americano, Scientology non è uso e costume quotidiano.
Questo è la più grande debolezza del film che non potendo contare su un alleato formidabile come può essere la complicità dello spettatore, perde equilibrio nelle lunghe parti introspettive che lo compongono.
Per contro, Hoffman e Phoenix si impegnano in una performance di una crudezza ed eccelenza incredibili. E questo cattura, attira e ripugna al tempo stesso, l’attenzione dello spettatore. La loro capacità di trasmettere il disagio psicologico da un parte (qui Anderson non si tira mai indietro, è coraggioso come è giusto essere) e il carismatico plagio dall’altra fa dimenticare che il contesto nel quale si muovono è a tratti nebuloso e indefinito. L’incontro tra i due spinge, con la giusta predisposizione, ad abbracciare l’insicuro disagio di Quell e a farsi comandare, nella disperata ricerca di risposte, dalle teorie di Dodd. Tutto il cast, catalizzato dalla bravura dei due, è in stato di grazia. Anche Amy Adams ci regala una bella interpretazione e non è la sola.
Tuttavia il coraggio di Anderson nel mostrarci le distorisioni dei due, simili ma diversi almeno nella capacità di gestire le proprie debolezze e le ambizioni, si ferma molto in profondità non toccando i livelli più superficiali e di primo impatto. Dodd non è un personaggio negativo, nemmeno Quell lo è. Sono complessi e complicati, ma entrambi in qualche modo vittime. Così ‘La Causa’ (Scientology) non ha nessuna connotazione negativa o positiva e diventa un pretesto per catalizzare le dinamiche tra i due. Una scelta di sicuro consapevole di Anderson, ma che non soddisfa a pieno colorando tutto di un uniforome grigio.
Concludendo, non boccio ‘The Master’ ma mi rendo conto che per apprezzarlo è richiesto più di uno sforzo da parte dello spettatore (oltre che una predisposizione empatica verso Quell). Se la fonte della bravura di Hoffman e Phoenix vi sazierà, troverete ‘The Master’ vicino al capolavoro ma se andrete oltre, i difetti di struttura potrebbero renderlo un troppo indigesto.
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