‘Skyfall’ è, senza dubbio, il film su James Bond con meno James Bond mai realizzato. E non è affatto casuale ( anche se per qualcuno è sicuramente fastidioso fastidioso) che sia stato realizzato proprio nel cinquantesimo anniversario dell’agente segreto più famoso del mondo. Con questa premessa è facile intuire che, se siete appassionati del Bond vintage (e ‘Casino Royale‘ (2006) per quanto mi riguarda appartiene a questa categoria), Skyfall vi possa far storcere il naso.
Perchè? Prima di tutto per la storia in sè (non che Casino Royale fosse un mostro di coerenza e logica, ma qui si parla di contenuti e non di come questi vengono assemblati). Bond, la cui fiducia è stata tradita dalla cinica ed efficiente M (Judy Dench), decise di fingersi morto e si gode il meritato riposo passando da un
letto all’altro nella lontana Turchia. L’assenza dal servizio e la mancanza di uno scopo fanno emergere i lati più oscuri dell’agente
segreto: alcool, antidolorifici, dissolutezza. Tutte dipendenze da sempre mascherate ma che ora sono libere da ogni catena mettono in scena un Bond vittima delle
sue fragilità (anche se non troppo, non è un film così psicologicamente profondo).
Ma quando viene a sapere che qualcuno ha penetrato i sistemi informatici dell’MI6 e vuole pubblicare su internet l’elenco di tutti gli agenti
segreti, ecco che l’amore per la patria (e forse, più che altro, l’odio per il suo nuovo se stesso) lo spinge a tornare in servizio. Per la prima volta abbiamo un cattivo i cui piani non minacciano il mondo intero (o buona parte di esso, o Bond in prima persona), ma che pare invece guidato solo da uno spirito di vendetta personale.
Il percorso tormentato e umano di Bond, a tutti gli effetti, finisce qui. Quando ritorna sotto l’ala protettrice di M vediamo il Bond di sempre, determinato e mai vittima del dubbio.
E forse, questa, è la debolezza maggiore del film: un cattivo come Silva (Javier Bardem) avrebbe dovuto tentare Bond, almeno per come sembrava volerlo interpretare il regista Sam Mendes. Invece ottiene (o ricerca) l’effetto contrario: Bond ritrova scopo e motivazione proprio nel confronto con il suo alter-ego. E torna a essere l’implacabile, inarrestabile e pieno di risorse 007 che tutti amiamo e conosciamo.
‘Skyfall’ poi è intelligentemente citazionista a oltranza, e questo ancora di più lo fa diventare un omaggio ai cinquant’anni di carriera di Bond, spiegando anche la sua volontà di frugare nel passato di un personaggio che, fino a oggi, di un passato non aveva bisogno. Disseminati per il film ci sono piccoli cameo concettuali che vanno a solleticare la memoria dei Bond-fan di vecchia data, e anche questo può piacere o non piacere. Io l’ho trovato un bel modo di celebrare la creature di Fleming.
Nel complesso un buon film, diverso ma che funziona e decisamente più credibile (forse il pubblico in questo momento ha sete di un realismo più concreto) di molti altri suoi predecessori.
Un’ultima nota, che a livello del tutto personale mi ha fatto apprezzare molto questa pellicola, è la creazione visiva e concettuale della nemesi, del villain di questo film. Per ammissione stessa del regista, c’è una forte influenza nella creazione di Silva che arriva direttamente dal ‘The Dark Knight‘ (2008) di Nolan. Il Joker, sia per certi vezzi visivi, sia per intenti che per metodologie, ha catalizzato Mendes nella sua gestione di Silva. Ancor più del successo cinematografico che Nolan ha, io credo che questa sia la sua consacrazione a colonna portante del cinema moderno. Mendes, che non è un turista della macchina da presa (ha diretto ‘American Beauty‘ (1999), per intenderci), trova nell’opera di Nolan una traccia da seguire per un cattivo cerebrale e spietato e in effetti ottiene, grazie a questa scelta, dinamiche intelligenti e assolutamente non banali.
Possiamo porse parlare di ‘effetto Nolan’? Se avevate dubbi io credo che ‘Skyfall’ ci aiuti definitivamente a rispondere di sì.
Tempo di lettura: 4 minuti