VOTO:
Ci sono voluti quattordici anni per scoprire il destino di Fox Mulder e Dana Scully. Quattordici anni nei quali il mondo è cambiato: gli effetti dell’11 settembre, Snowden, la crisi economica, il terrorismo e recrudescenze complottiste pronte a sbocciare in ogni dove. In quasi tre lustri siamo passati da un proto-illuminismo nel quale i segreti erano tenuti tali da irresistibili poteri occulti contro cui si poteva e si doveva combattere, a un medioevo in cui il complotto si è palesato in tutta la sua virulenza.
E’ proprio qui, nel momento più buio, che Fox e Dana tornano in scena.
[Episodio I: La verità è ancora là fuori]
Il primo episodio corre veloce. Fox è un cinico nichilista che non crede più in niente mentre Dana ha riabbracciato la sua vocazione medica lavorando in una struttura che si occupa di curare bambini deformi. Questo fino a quando Ted O’Malley (Joel McHale), guru anti-complotto del web, vuole a tutti i costi l’aiuto di Mulder per rivelare al popolo americano la pericolosa minaccia che sta per abbattersi sul mondo intero.
Chris Carter decide di giocare a carte scoperte precipitando il pubblico nella sua nuova visione: gli alieni, i rapimenti, tutto ciò su cui Mulder e Scully hanno indagato sono una colossale operazione di depistaggio. La realtà è più semplice e più terribile allo stesso tempo: strutture para-governative hanno sperimentato la tecnologia aliena sugli esseri umani e sono alla vigilia di un tremendo attacco che sovvertirà l’ordine mondiale delle cose.
Carter varia punto di vista e questo è un tocco di genio: ribalta le cose e crea una nuova ambientazione in cui gli X-Files devono esistere perché il mondo non può farne a meno. Tornano i vecchi amici, Skinner prima di tutti, e ricompaiono anche vecchi nemici. L’essenza delle cose non cambia ma ciò che Carter mostra non è obsoleto o nostalgico. Ora più che mai, Fox e Dana devono riprendere le loro indagini. Non è un reboot, non è un remake: è esattamente ciò che serve.
[Episodio II: Evoluzione della specie]
Gli X-Files sono operativi, Mulder e Scully di nuovo relegati nello scantinato fatiscente che gli serviva da ufficio sotto l’ala protettiva di Skinner.
Il misterioso suicidio di un ricercatore spinge i due agenti ad avviare un’indagine che li porterà a scoprire i piani del sedicente medico Augustus Goldman (Doug Savant) impegnato nella sperimentazione genetica su bambini in apparenza malati. Qui Skinner rivestirà i suoi vecchi panni da un lato richiamando Fox e Dana all’ordine, dall’altro spingendoli a proseguire nell’indagine.
La penna di James Wong, già noto agli X-Files e navigato mestierante di genere, confeziona un episodio farcito di piacevoli omaggi e citazioni: dal ‘Fury’ (1978) di Brian de Palma agli ‘Scanners’ (1981) di Cronenberg. Ma, cosa più importante, posiziona il timone della stagione su una rotta confortevole dopo il cambio di paradigma del primo episodio. La struttura è classica, le citazioni la rendono interessante. Non c’è solo l’uomo che fuma, non c’è solo la trama occulta della tecnologia aliena. In origine questo secondo episodio doveva essere il quinto e questo spiega la forte presenza nella trama di William, il figlio di Fox e Dana, allontanato per la sua stessa sicurezza.
[Episodio III: La Lucertola Mannara]
Di tutti gli episodi di questa nuova mini-serie ‘La Lucertola Mannara’ è quello che meglio rappresenta uno degli aspetti più classici di X-Files.
Il ritrovamento di un cadavere sgozzato e l’avvistamento di una strana creatura rettiliana convince Mulder e Scully ad avviare un’indagine per scoprire se dietro la morte misteriosa ci possa essere davvero un X-Files. La presenza di una possibile lucertola mannara e la messa in scena di una pletora di personaggi che flirtano con l’assurdo rendono questo episodio un unicum all’interno della stagione.
L’impianto narrativo è classico e la fortissima ironia di fondo ha proprio il sapore dei tempi antichi. Non è un caso che sceneggiatura e regia siano nelle mani di Darin Morgan, una vecchia conoscenza della serie piuttosto ferrato in trame ‘leggere’.
Un terzo di thriller, due terzi di divertimento e un pizzico di mistero: una delle ricette più casalinghe di X-Files.
[Episodio IV: Di nuovo a casa]
Con il quarto capitolo una mini-serie composta da sei episodi supera un punto di non ritorno concettuale nel quale deve decidere in che direzione andare.
Iniziare a richiamare le complesse trame aperte nel primo episodio o tentare una strada diversa, persino sperimentale?
A Glen Morgan, scrittore e regista dell’episodio, viene concesso il lusso di scegliere la seconda strada. Durante lo sfollamento di un gruppo di senza tetto uno degli incaricati di far rispettare i tempi dell’operazione viene letteralmente squartato da uno strano figuro: l’uomo con il cerotto sul naso. Non sarà la prima vittima in quella che, per temi e modi, può essere considerata una rivisitazione del mito ebraico del golem.
L’episodio è molto piacevole e ci sono anche sperimentazioni interessanti ma la vera domanda è: era necessario sacrificare un sesto della serie senza far procedere di una virgola le complicate trame dell’avvio di stagione? E le vicende personali di Scully, hanno davvero un ruolo così importante nell’economia della storia?
[Episodio V: Babilonia]
Negli ultimi quindici anni quasi ogni produzione americana ha pagato il prezzo dell’11 settembre e anche Chris Carter decide di sporcarsi le mani affondando fino ai gomiti nella complicata palude del terrorismo.
Un attentato di chiara matrice islamica lascia uno dei giovani kamikaze mutilato e in una sorta di coma irreversibile. E’ in quel momento che gli agenti Einstein (Lauren Ambrose) e Miller (Robbie Amell) fanno la loro comparsa nei sotterranei degli X-Files. La coppia è un palese alter ego di Mulder e Scully: i quattro uniranno le forze per carpire dalla mente martoriata dell’attentatore quanti più segreti possibile. Scully e Miller con l’aiuto della tecnologia, Mulder e Einstein seguendo le teorie paranormali di Fox.
L’intento del cortocircuito è anche interessante, ma la realizzazione e la discontinuità dell’episodio lo rendono insipido. Il trip di Mulder si affianca alla melassa del politically correct e all’ulteriore dose di miele del finale.
Con il mondo sull’orlo dell’abisso, come ci avevano raccontato nel primo episodio, qual è il senso di questa storia?
[Episodio VI: Ossessione]
Sono trascorse sei settimane dalla riapertura degli X-Files e Mulder è sparito. Tad O’Malley, fino a quel momento oscurato nel suo ruolo di paladino della verità, lancia un grido di allarme: la fine è vicina. Le forze occulte sono pronte a sferrare il loro tremendo attacco sotto forma di una micidiale epidemia dalle bibliche proporzioni.
Tutto l’episodio è una frenetica corsa contro il tempo nella quale Chris Carter cerca di arrivare a un punto fermo correndo più veloce della storia stessa. E questo non è mai un bene.
Così Scully messa in guardia dalla vecchia alleata Monica Reyes (Annabeth Gish) è impegnata nella ricerca di un antidoto al flagello che imperversa ovunque mentre Mulder è desidera lo scontro finale con la sua nemesi tabagista.
Fretta. La parola chiave di questo episodio è proprio: ‘fretta’. Carter corre veloce, socchiude alcune trame e ne apre altre troppe impegnative lasciando tutto in balia di un cliffhanger colossale che arriva perché, a conti fatti, non è possibile fare altro.
Dunque, tirando le somme?
L’impressione è che Carter abbia voluto aprire un rischioso cantiere di sperimentazione, una sorta di corposo appetizer concettuale il cui scopo è farci vedere perché il mondo ha ancora bisogno di X-Files. Sotto la sua direzione i registi dei vari episodi hanno esplorato zone così diverse tra loro da far pensare che tutto sia manifestazione di un piano ben preciso, lucido e anche un po’ cinico. Tanto cinico da far sì che gli unici difetti dei singoli episodi siano tutti legati alla brevità della mini-serie e alla scelta del suo sviluppo.
Carter aveva un solo quesito a cui dare risposta: X-Files è figlio dei suoi tempi o può raccontare ancora qualcosa? Perciò ecco il senso di capitoli così diversi tra loro, ecco il senso di una storia imponente che viene tralasciata per due terzi della serie. Carter vuole farci capire che la seconda decade del millennio ha bisogno di Mulder e Scully, e lo fa mostrandoci tante sfaccettature diverse della stessa anima.
E’ stata una buona idea? In parte sì e in parte no. Eppure, nonostante tutto, ne vogliamo ancora.
Questo articolo è stato pubblicato su Nocturno Cinema