Pochi giorni sono passati dalla notizia che già infiamma l’attesa estiva oltreoceano: la CBS trasmetterà a partire dal 24 giugno ‘Under The Dome‘, serie TV tratta dall’omonimo romanzo di Stephen King uscito nel 2009. Ovviamente ancora non è dato sapere se è quando la produzione firmata da Brian K. Vaughan (bimbo prodigio marvelliano e persino sceneggiatore lostiano) arriverà in Italia ma visto che ormai le frontiere delle streaming oltrepassano quelle degli stati, vale comunque la pena parlarne. Prima di tutto, da quello che ci è dato sapere, Vaughan riadatterà le quasi mille pagine del romanzo in un formato più consono ai tempi televisivi permettendosi estrema libertà nella gestione del plot (un finale differente?).
Perciò, di cosa possiamo parlare per il momento? Detto fatto: il modo migliore per immergerci nel futuro televisivo di ‘Under The Dome’ è quello partire dal passato rispolverando il romanzo ragionandoci un po’ sopra.
Nel 2009, dopo alcuni anni di mezzi successi (o parziali insuccessi), Stephen King uscì con ‘The Dome’.
Il Re era tornato.
Un ritorno atteso e che, a mio modo di vedere, ci ha regalato un King in stato di grazia. Un ritorno che andava a completare un percorso narrativo imperfetto iniziato nel 1978, con ‘L’Ombra dello Scorpione‘, perfezionato ma solo in parte nel 1985 con ‘La Nebbia‘ e finalmente completato, in maniera impeccabile, con ‘The Dome’.
La cittadina di Chester’s Mill una mattina si risveglia isolata dal mondo in seguito alla comparsa di una misteriosa cupola indistruttibile. Dopo lo sgomento iniziale e i vani tentativi dell’esercito di frantumare la gabbia trasparente, le cose prendono direzioni impreviste. I difetti della piccola comunità iniziano a emergere e la morte improvvisa e accidentale dell’unico collante autoritario e coerente della città (lo sceriffo) non farà altro che accelerare le pulsioni estremiste di alcuni abitanti.
La situazione è chiaramente estremizzata in modo elegante e pretestuoso. Già dalle prime pagine si capisce che il reale tema del libro non è il perchè della Cupola e il come sia apparsa. Il tema sono le interazioni umane, la socialità, la reazione degli stereotipi moderni incarnati dai personaggi in una situazione estrema. Questo esperimento era stato tentato con ‘L’Ombra dello Scorpione’ (che resta un romanzo magnifico), ma il risultato aveva lasciato a desiderare, soprattutto nel finale. Troppi personaggi, forse, e una linea narrativa non così determinata.
Nel ‘La Nebbia’, King aveva tentanto un esperimento più in piccolo ma al tempo stesso più in grande: interazioni tra persone bloccate in un supermercato a causa di un evento catastrofico. Le reazioni a una psicosi talmente particolare da risultare persino aliena.
In ‘The Dome’ King trova la sua dimensione. Una piccola cittadina, fisicamente isolata dal mondo ma in comunicazione con esso. Finalmente la chiave giusta per dimostrarci che gli stereotipi non sono una semplificazione della realtà: sono la realtà vera e propria. In situazioni estreme, lo stereotipo diventa scienza del comportamento e in modo molto Batman-Nolaniano, King si concentra su questo.
C’era, ne ‘La Nebbia’, l’accezione ottusa della religione estremizzata, c’era ne ‘L’Ombra dello Scorpione’ il senso di catastrofe apocalittica e distruttiva a livello globale..
In ‘The Dome’ c’è tutto, dal sociale al politico. Simbologicamente ha tanti di quei riferimenti da perderci nottate e le stesse interazioni, i comportamenti dello stereotipo estremizzato, sono un vero e proprio manuale sociologico.
Il finale, per quanto possa lasciare qualche perplessità, è il più giusto. Stiamo parlando di cosa succede, non di cosa dovrebbe accadere, non di cosa vorremmo accadesse.
Se anche voi siete/eravate terrorizzati all’idea di un ennesimo adattamento di opera kingiana (visti i precedenti) c’è tuttavia spazio per un messaggio di speranza.
Il fatto che un libro così complesso trovi la sua dimensione televisiva vuol dire due cose secondo me: la prima è che il potere delle serie TV, e la loro capacità di adattarti a temi complessi, continua a crescere diventato sempre di più l’alternativa a un certo tipo di cinema (lo so, non lo scopro io per primo). La seconda è più un interrogativo: in questo periodo storico così sofferto, è davvero necessario raccontare di come la società possa ancora essere peggio di così? Di come il pericolo possa tirare fuori il peggio di noi?
In attesa dell’estate, eccovi il trailer: