VOTO:
Antonio Lanzetta un anno dopo l’uscita de I figli del male ci riporta a Castellaccio, il paese simbolo dell’affilata capacità narrativa che lo contraddistingue, e lo fa con una storia che racchiude tra le sue pagine un oscuro gioco di specchi.
Cristian è un adolescente e dopo una lite con i genitori esce di casa. E’ arrabbiato. Arrabbiato con il mondo, con il padre che non riesce a capirlo, con l’indifferenza e con tutti quelli che sembrano solo volerlo giudicare senza fare niente per comprenderlo davvero. Quando rientra a casa il suo mondo fatto di videogiochi e di piccole incomprensioni va in pezzi: il padre ha ucciso la madre e poi si è suicidato. A Cristian resta il terribile rimorso del litigio come unico compagno di viaggio verso il piccolo paese di Castellaccio, dove viene affidato a Flavio e alla sua casa famiglia.
Eppure c’è qualcosa di strano nella morte dei genitori di Cristian e a frugare tra le ombre dense di un male senza nome, c’è Damiano, lo Sciacallo. Nel frattempo Cristian scopre l’amicizia, scopre di non essere solo e che ci sono cicatrici talmente profonde da non potersi mai rimarginare. Ma Castellaccio ha altri piani. Le radici nere del paese si insinuano nel passato e riportano sulla strada di Cristian una maledizione antica: l’Uomo del Salice.
Lanzetta, ancora una volta, si supera. Abbiamo conosciuto Castellaccio, abbiamo visto come il paese è capace di forgiare mostri e di addestrare, nel male, chi è capace di combatterli. Qui l’autore fa ancora un passo in più, mettendo in campo un superbo giochi di specchi. Cristian setaccia il passato nero del piccolo paese di provincia e, nel fango di un dolore senza forma, scopre piano piano come ossessioni e sofferenze possano trasformare le persone in ciò che desideravano combattere.
Per contro Damiano, riflesso scuro di Cristian, anima ferita dalla cattiveria di Castellaccio, indaga tra tenebre ancora più dense che si spingono ben oltre i confini del paese. Perciò Castellaccio diventa impietosa metafora di un mondo grigio e complesso dove bene e male si intrecciano finendo per diventare una cosa sola. Nietzsche diceva: “Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro” e il Buio di Lanzetta è anche questo: un abisso dal quale non è possibile fuggire. O forse no
C’è una via di redenzione. Un sentiero che Damiano e Flavio non hanno mai potuto percorrere perché menomati dalla violenza di Castellaccio quando ancora erano troppo giovani per poter sfuggire ai tentacoli del paese. Quella via è l’amicizia. Quel sentiero è il coraggio. Damiano e Flavio lo avevano intrapreso da giovani ma poi un male troppo grande da comprendere era stato capace di spezzarli, nel corpo e nell’anima. Cristian invece riuscirà a percorrerli entrambi. Passando per la paura, osservando le ferite aprirsi e poi rimarginarsi lasciando dolorose cicatrici, diventando grande. E qui c’è l’ennesimo gioco di specchi dell’autore.
L’Uomo del Salice, mito nero di Lanzetta, striscia dal passato di Castellaccio e questa volta subisce la sua sconfitta più grande. Ne Il Buio Dentro era riuscito a distruggere legami di amicizia, spezzare sogni, frantumare amori, ne I Figli del Male aveva costretto tutti, noi compresi, a comprendere che ciascuno ha le proprie ombre e che l’assenza di male non esiste. Qui l’Uomo del Salice in qualche modo fallisce. Forse il tempo ha indebolito la sua maledizione, forse i sentimenti che lo contrastano sono questa volta troppo forti anche per un orrore come quello che incarna. E’ un male che non si arrende, un male antico i cui frammenti possono colpire ovunque: ma questa volta Lanzetta impartisce a lui e a tutti i noi una lezione che sarà molto difficile da dimenticare.
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