Mr. Stevens, un maggiordomo inglese figlio del suo tempo, decide di prendersi qualche giorno di libertà da un lavoro che ha sempre aderito alla perfezione alla sua vita. Decide che è venuto il momento di intraprendere un piccolo viaggio nella sua amata Inghilterra per incontrare la collega e amica di un tempo, Mrs. Kenton, e forse, perché no, riportarla con lui come governante a Darlington Hall. Quello di Mr. Stevens (e il nostro) è un viaggio nel viaggio. Un viaggio nei ricordi di una vita che il maggiordomo – anzi IL maggiordomo – decide di condividere con noi.
C’è una vita intera nel romanzo di Ishiguro. La vita di un uomo in grado attribuire a una sola parola, quella “dignità” che è perno dell’esistenza di Mr. Stevens, più significati di quanti ne riteniamo possibili. Ce li confida, destruttura il senso di ogni singola sillaba della “dignità” e si prende lo spazio e il tempo per spiegarci come questa diventi il modo per pesare le anime di quelli che svolgono il suo mestiere.
Un mestiere, quello del maggiordomo inglese, che è più di un semplice lavoro. È una missione. È un modo per trovare il proprio posto nel mondo a discapito di tutte le cose che gli altri – noi compresi – reputano importanti. Gli affetti, la politica, le relazioni: tutte quelle cose che nel sentire comune definiscono la socialità, per un maggiordomo – anzi per IL maggiordomo – sono ben poca cosa se paragonati alla missione di servire al meglio il proprio padrone.
E Mr. Stevens questo fa. Consapevole che lui – e noi – ben poco possiamo conoscere e comprendere delle cose del mondo (c’è l’ombra della guerra che incombe sull’Europa), sceglie Lord Darlington come padrone e affida a lui, tra mille errori, il compito di rendere il mondo migliore. Perché il massimo a cui può aspirare un vero maggiordomo è trovare un posto il più vicino possibile al perno che muove la grande ruota della storia. Al netto degli sbagli, di una Gran Bretagna che ha commesso i suoi sbagli. Di una politica complessa e densa di mistificazioni.
Non c’è spazio per il vero rimpianto nel viaggio di Mr. Stevens. A volte lo sfiora, a volte quasi ci confida di aver provato qualcosa di simile, di sentire quel dolore seppellito per tutta la sua vita sotto i pesanti panni del dovere. E questo avviene quando l’aura di Mrs. Kenton si avvicina di nuovo a lui dopo tanti anni, quando Mr. Stevens scopre una verità che probabilmente aveva sempre saputo ma mai davvero compreso. Eppure.
“Che ragione c’è di preoccuparci troppo circa quello che avremmo o non avremmo potuto fare per controllare il corso che la nostra vita ha preso? Di certo è sufficiente che quelli come voi e come me almeno tentiamo di offrire il nostro piccolo contributo in favore di qualcosa di vero e di degno. E se alcuni di noi sono pronti a sacrificare molto, nella propria vita, al fine di perseguire tali aspirazioni, ciò sicuramente rappresenta in sé, quali che siano i risultati che ne derivano, motivo di orgoglio e di felicità.”
Ci affida anche questo pensiero, Mr. Stevens. Si (e ci) assolve se, quando quel che resta del giorno è solo un altro piccolo giro di lancette, abbiamo l’impressione di aver sprecato troppe occasioni. Di aver mancato le cose davvero importanti perseguendone altre con tenacia e determinazione. Non è così perché “quali che siano i risultati che ne derivano, ciò rappresenta in sé motivo di orgoglio e felicità“.
È denso di malinconia quel tramonto sul molo, quando le luci della città si accendono. Ma è in quel momento che Mr. Stevens presta fede a quello che ci ha appena confidato. Conclude il suo viaggio mentale prima ancora che quello fisico. E nel farlo torna esattamente da dove era partito: a Darlingont Hall, impegnato nel migliorare la propria ironia per essere all’altezza del suo nuovo padrone.
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