Furore non è solo un romanzo. E’ la fotografia impietosa di un periodo storico molto preciso che poi, letto a distanza di quasi novant’anni, si trasforma in un affresco capace di ritrarre tutte le ombre oscure della società moderna.
Furore è attuale, troppo attuale. Cambiando alcune coordinate si legge il presente nel testo di Steinbeck e purtroppo non è un presente illuminato, non è un presente che ha imparato dal suo passato.
Orwell diceva:“Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato” ma cosa succede se il passato viene ignorato? A chi ignora il passato, il futuro non interessa. Ecco l’ineludibile sentenza che si raccoglie dalle pagine dense, spontanee e sofferte di Furore.
La famiglia Joad, la sua epopea, diventa manifesto di un completa destrutturazione della famiglia, della cultura, della solida e inadatta la futuro (o almeno al nostro futuro) anima contadini nella sua connotazione più pura. I Joad esprimono, a loro modo, tutta la frustrazione nell’affrontare un mondo che è cambiato troppo in fretta e senza regole.
Ci sono i poveri che spaventano prima i ricchi e poi gli altri poveri. C’è tutto, in Furore.
C’è anche un costante senso di attesa per qualcosa che dovrebbe arrivare ma che non arriva mai. Non arriva mai il dramma finale, così come non arriva mai la vera esplosione del Furore, così come non arriva mai la rivalsa.
Perché la realtà di Steinbeck non fa sconti. Tutto, poco alla volta, viene smantellato da un sistema cinico che disumanizza mettendo tutti contro tutti. Togliendo riferimenti a chi viveva il semplice ciclo della vita traendo sostentamento dalla terra, dalle sue armonie, dalla sua pura semplicità.
Ci sarebbe tanto da dire. Ci sarebbe tanto da dire anche sulle ultime righe, sullo straziato grido di devastata speranza che Steinbeck affida ai superstiti della famiglia ma la realtà è che un libro del genere va letto, assimilato, capito.
Ogni generazione dovrebbe farlo.
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