“Non sarebbe stato esatto dire che i genitori non si divertivano mai. Anche loro facevano il bagno, ma non rimanevano in acqua per più di venti minuti. Anche loro facevano qualche partita di pallavolo, ma della durata di mezz’ora al massimo.“
L’inventore di sogni è Peter Fortune, un ragazzino di undici anni che passa più tempo nella sua testa che nel mondo reale. Un bambino ‘strano’ solo perché parla poco, perché sembra troppo impegnato a contemplare il suo mondo interiore. Ma è davvero così?
No, non lo è. Peter raccoglie la realtà che lo circonda e la scompone prima per renderla più semplice, più a misura di bambino. E poi per comprenderla, per elaborarla, per evolverla e per iniziare a suo modo e con i suoi tempi il percorso drammatico e sorprendente che lo porterà a diventare adulto.
McEwan ci proietta all’interno della testa di Peter, ci descrive il suo mondo, ci racconta le sue invenzioni. Lo fa con uno stile semplice, diretto ma mai superficiale. Lo fa cercando di rimetterci in contatto con quella meravigliosa forza creatrice – la fantasia – di cui tutti i bambini sono dotati, come fosse l’equipaggiamento standard della loro esistenza. E che gli adulti tendono a lasciarsi alla spalle. Lo fa ricordandoci che quella fantasia non è mai una perdita tempo ma è un modo per affrontare le sfide più grandi (come la morte), per comprendere gli altri (che siano un bullo, un ladro, o un cugino piccolo e incomprensibile), per comprendere sé stessi.
“Peter si voltò a guardare il mare. Luccicava, fino laggiù, all’orizzonte. Gli si dispiegava dinanzi, sconosciuto e immenso. Una dopo l’altra le onde si srotolavano e spruzzavano sopra la sabbia, e a Peter sembrarono l’immagine di tutte le idee e fantasticherie della sua vita.”
In un presente talmente complesso da risultarci a volte alieno o altre volte al di sopra della nostra capacità di comprendere, la mano delicata di McEwan arriva a ricordarci il potere dell’immaginazione la necessità di tenere con noi i sogni il più a lungo possibile.
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