Riallacciandomi per direttissima alla mia recensione di ‘A Dance With Dragons‘, quinto capitolo della monolitica e solida serie letteraria ‘Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’, volevo condividere alcune riflessioni che proprio questo libro, più degli altri, mi ha portato a fare.
Martin pare attribuire al dolore e alla menomazione fisica proprietà taumaturgiche eccezionali, soprattutto per quanto riguarda animo e ambizioni dei personaggi. Per non parlare poi di come questi vengono percepiti dal lettore.
Andiamo con ordine però, e lo facciamo attraverso tre esempi pratici (ovviamente ci saranno anticipazioni e spoiler perciò se non volete sapere troppo, non addentratevi nella lettura).
Brandon ‘Bran’ Stark:
Quarto figlio di Eddard Stark e di Catelyn Tully viene ‘menomato’ quando Jaime Lannister lo spinge nel vuoto dopo che il piccolo Bran era stato testimone dell’incestuoso rapporto di Jaime con la sorella. Cadrà, rompendosi le gambe e danneggiandosi la spina dorsale: “Non camminerai mai più” è il drammatico verdetto.
Da questo momento, per Bran, inizia un percorso di crescita spirituale il cui punto di arrivo ci verrà fatto percepire, anche se solo in parte, proprio in ‘A Dance With Dragons’. Tutti gli Stark, come Figli del Nord, hanno un rapporto molto particolare con la magia degli Antichi Dei che permea le loro terre, e pare che per Bran la menomazione sia una scorciatoia verso il sentiero che lo porterà a comprendere meglio i suoi poteri. E’ proprio quando perde l’uso delle gambe, infatti, che iniziano le visioni: gli appare in sogno il corvo con tre occhi, la cui vera identità ci verrà rivelata solo nella prima parte di ‘A Dance With Dragons’. Diventa capace di ‘indossare’ le pelli: quella del suo Metalupo, Estate, e a sorpresa quella del gigante Hodor. Affinerà questa tecnica poi, fino al punto di potersi muovere, come osservatore, nel tempo e nello spazio. In un inchino alla tolkeniana filosofia delle memoria senza tempo degli alberi, imparerà a indossarne corteccia e spirito.
Insomma, in accordo con alcune teorie scientifiche secondo le quali l’inquinamento dei sensi rallenta le funzioni cerebrali più pure, in modo un po’ distorto qui ritroviamo la stessa cosa.
La menomazione, apre altre porte. Spinge la mente a cercare vie differenti attraverso le quali vincere i vincoli della carne. Il dolore e la perdita in questo caso obbligano a una crescita spirituale molto accelerata. Per Bran, personaggio già positivo, il percorso non fa altro che rafforzare questa sua caratteristica. Ma non sarà sempre così, anzi.
Jaime ‘Sterminatore di Re’ Lannister:
Ecco uno dei personaggi che ha subito (e sta subendo) LA metamorfosi per eccellenza.
Figlio del Lord di Castel Granito Tywin Lannister, fratello di Cersei e Tyrion, era il più dotato spadaccino dei Sette Regni. E’ strettamente legato al destino di Bran perché è stato proprio lui, come ho anticipato, ad aver scagliato il piccolo Stark nel vuoto, facendolo precipitare da una torre di Grande Inverno. Martin non fa nulla, sin dalle prime pagine, per renderci simpatico lo ‘Sterminatore di Re’. A stretto giro per poco non uccide Bran, partecipa attivamente agli eventi che culmineranno con la drammatica morte di Robert Baratheon prima e di Eddard Stark poi, ha un rapporto incestuoso con la sorella. E’, insomma, un personaggio che incarna la malvagità e l’ambizione dei Lannister in tutto e per tutto (nonostante abbia un suo distorto senso di lealtà legato alla Guardia Reale di cui fa parte).
Tutto questo fino a quando Vargo Hoat e i suoi Guitti Sanguinari non gli amputano la mano della spada. Dolore, quindi. Menomazione. Lo ‘Sterminatore di Re’, prima il più abile, pericoloso e letale spadaccino dei Sette Regni non è nemmeno più in grado di sfidare a duello Ilin Payne, La Giustiza del Re, muto boia di Approdo del Re (che diventa suo partner nel tentativo di re-imparare a combattere). Gli viene sostituita la mano amputata con un arto completamente d’oro ma questo non gli restituisce la sua baldanzosità, nè tanto meno la fiducia che li è stata strappata con la mano. Anzi, Jaime inizia persino a risultarci simpatico. Entriamo in empatia con lui. La sua menomazione, i dubbi psicologici di cui questa si fa catalizzatrice, il cambiamento anche nell’amore passionale e malato per la sorella sono solo la punta dell’iceberg. Il mondo gli appare diverso e come Bran esplora zone della sua indole a lui del tutto sconosciute. Se prima la sua risposta a tutto era a fil di spada, poi riscopre doti diplomatiche degne del suo defunto padre. L’onore che il suo bianco mantello dovrebbe incarnare, adesso pare appartenergli davvero. Come dimostra, proprio in ‘A Dance With Dragons’, la missione che decide di intraprendere con Brianne di Tarth per il recupero di Sansa Stark mentre sua sorella ha un tremendo bisogno di lui, mentre tutti i Sette Regni camminano sull’orlo del disordine civile.
Insomma, per farla breve, io che ho sempre odiato Jaime e che ho continuato a odiarlo il più possibile, adesso mi ritrovo a simpatizzare, ancora con un po’ di sospetto a dirla tutta, per lui.
Figlio minore di Balon Greyjoy, è Protetto della casata Stark. Viene tenuto in una gabbia dorata come prigioniero politico, come ostaggio, per impedire che il fuoco della ribellione proprio dei Greyjoy arda di nuovo.
Donnaiolo dal sorriso accattivante è un personaggio che si rivela piuttosto complesso. Cresciuto con gli Stark gli ammira e ne brama il rispetto. Viene trattato come un fratello dallo stesso Robb Stark, ma cova un’ambizione e un desiderio di rivalsa incontrollabili, accentuati anche dal fatto che, comunque, non sarà mai uno Stark. Ed è proprio questa sua ambizione che lo porterà a tradire Grande Inverno e a causare la morte di tutti gli uomini fedeli a Robb Stark, rimasti tra le mura della roccaforte del Nord. Ma questo suo tradimento verrà pagato a caro, carissimo prezzo.
Ramsay Bolton, bastardo del Lord di Forte Terrore, Roose Bolton (storico e problematico alfiere degli Stark), farà di Theon il suo schiavo. Lo mutilerà, spezzandogli denti e dita, strappandogli lembi di pelli e piegandone, in questo modo, anche la volontà. La perversione di Ramsay si dimostrerà così diabolica da portare Theon persino a dimenticare il suo nome: prenderà infatti il posto di Reek, mente e corpo, corrotto e malvagio servo/mentore di Ramsay.
I capitoli che parlano della psiche frantumata di Theon/Reek sono così strazianti da farci dimenticare in fretta le colpe di cui si è macchiato. Sua è la responsabilità per la morte di Maestro Luwin, di Rodrik Cassel e di tutti gli amici fedeli agli Stark che avevamo imparato a conoscere, e sua è la responsabilità per le fiamme che divoreranno Grande Inverno.
Eppure la finestra che Martin ci apre sulla mente distrutta da tortura e terrore di un ragazzo di diciannove anni che non più in grado di sorridere, perché senza denti, e forse nemmeno più in grado di amare perché mutilato in modo orribile anche altrove, è micidiale. Così come è tremendo il percorso che riporterà Theon a trovare la sua identità, nascosta e dimenticata nel terrore.
Anche lui, con la mutilazione e con il dolore, intraprende la via della redenzione. Più rapida, in termini di pagine, ma forse più convincente di quella percorsa fino a ora da Jamie.
Perché il dolore da lui provato è molto, molto superiore. E lo penetra a livelli inimmaginabili.
Per concludere la sofferenza a cui Martin sottopone i suoi personaggi, non è solo catalizzatore di crescita, di mutamento e di un nuovo ruolo nell’affresco che contribuiranno a dipingere. Ma è anche un astutissimo stratagemma letterario per portarci a rivalutarli, per condurci a provare per loro un’empatica compassione che mai avremmo pensato di sentire. Uno stratagemma che se nella forma è antico e di certo non innovativo, lo è nella sostanza.
1 Comment