VOTO:
Per chi come me ha amato ‘Lasciami entrare‘ (2004), ha storto il naso con ‘L’estate dei morti viventi’ (2005) e si è di nuovo emozionato per ‘Il Porto degli spiriti’ (2008) e ‘Muri di carta‘ (2012) ogni nuova opera di Lindqvist è accompagnata da un misto di timore e aspettativa.
Per certi versi ‘Una piccola stella’ (2013) è la più ambigua delle sue produzioni. Ambientato nella Svezia sofferta e sofferrente tanto amata (e odiata) da Lindqvist racconta del ritrovamento di una neonata, la piccola Teres, che ha una singolare capacità: la sua voce è musica pura, in grado di emettere le note più perfette. La piccola viene rinchiusa in uno scantinato da una coppia di musicisti in declino con l’intento di allevarla segregata dal mondo e protetta dall’inquinamento che la parola potrebbe causare alla sua purezza musicale.
Teres però, dopo una serie di eventi drammatici e dall’impronta decisamente horror, uscirà dal guscio protettivo nel quale era stata rinchiusa e verrà fatta conoscere al mondo grazie a un talent show musicale. Così Teres conoscerà Teresa, una bambina sola e infelice attratta dalla sua strana purezza. E conoscerà altre ragazzine, vittime di una Svezia non all’altezza delle nuove generazioni e insieme a loro cercherà le risposte che gli adulti non sono in grado di dare.
A differenza degli alti romanzi (tolto ‘L’estate dei morti viventi’ che resta a mio avviso il modo con cui Lindqvist ha voluto affrontare il suo demone interiore legato alla morte) ‘Una piccola stella’ ha situazioni e meccanismi più pretestuosi e meno precisi del solito. Questo credo sia da ricercare nella evidente critica sociale che Lindqvist mette in campo: i suoi bersagli principali sono il mondo della musica e i talent show decidati alle giovani promesse del pop. L’intenzione è chiara e ben sviluppata ma se ‘Una piccola stella’ si limitasse a questo sarebbe un romanzo interessante con però poco valore aggiunto.
‘Una piccola stella’ invece è anche un romanzo di crescita, qualcosa che si può identificare come il negativo fotografico de ‘Il Corpo’, racconto scritto da Stephen King e contenuto in Stagioni Diverse (1982) (da cui hanno tratto il film ‘Stand By Me’, 1986). Le tematiche portanti sono molto simili. Ci sono adolescenti che fuggono da situazioni famigliari complesse e c’è la morte. C’è la catarsi che l’incontro di queste due entità così diverse, giovinezza e morte, crea e gli imprevedibili esiti ai quali può dare origine. Il viaggio che Teresa e Teres compiono non è fisico, come quello descritto da King, ma è del tutto spirituale e passa attraverso stati mentali tremendi e angoscianti. La psicosi di Teresa, il distacco dal mondo che solo Teres riuscirà a guarire è molto simbolico e potente. Così come il rituale della morte e della rinascita a cui tutte le ragazze attratte da Teres, il branco, sono sottoposte.
Come dicevo la narrazione, se spogliata dagli obiettivi che Lindqvist si è posto, non è impeccabile. In certi punti si ripete e la simbologia di alcuni personaggi è, per quanto efficace, forzata (il discografico Hansen è funzionale ma non così credibile come dovrebbe). C’è però un manto di inquietudine sempre costante che avvolge tutto il romanzo e che trasmette la sensazione di un disastro imminente capace di tenere alto il ritmo. Da questo non è possibile affrancarsi ed è uno dei punti di forza del romanzo. Se anche alcue cose scricchiolano l’ansia delle ragazzine si trasmette al lettore facendole diventare parte del ‘branco’ creato da Lindqvist.
Per concludere ‘Una piccola stella’ non ha la terribile eleganza di ‘Lasciami entrare’ e nemmeno la purezza del macabro rapporto tra Oskar ed Eli ma è comunque un altro bel tassello che arricchisce il mosaico della Svezia descritta da Lindqvist. Perduta e alla ricerca di sé stessa.
di Maico Morellini