VOTO:
Le idee di Herbert George Wells sono talmente intrise di genialità da farmi dimenticare che si tratta di un autore vissuto centocinquanta anni fa in quello che a tutti gli effetti era un mondo completamente diverso dal nostro.
Il romanzo ‘L’Isola del Dottor Moreau’ non fa eccezione. Scritto nel 1895 da un Wells trentenne e pubblicato nel 1896 potrebbe essere considerato un antento dei mokumentary (il ‘Dracula’ di Stoker verrà scritto solo un anno dopo) che tanto impazzano nelle sale cinematografiche. Partendo da presunti eventi realmente accaduti, il protagonista ci conduce nel cuore della sua avventura.
Edward Prendick, la voce narrante del romanzo, è vittima di un naufragio e dopo alcune vicissitudini riesce a raggiungere di nuovo la terra ferma: viene infatti salvato dal misterioso Montgomery che lo conduce su una sperduta isola del pacifico. Qui incontro il Dottor Moreau che svolge esperimenti in bilico tra il genio e la follia e apprende il fine ultime del geniale medico rinnegato: attraverso il dolore e la chirurgia Moreau intende elevare gli animali trasformandoli, a tutti gli effetti, in esseri umanoidi in grado di pensare e parlare. La natura bestiale delle creature, però, non può essere del tutto soffocata e ben preso l’Isola conoscerà una drammatica spirale di violenza.
Wells incentra la narrazione su due temi principali: il dolore come strumento scientifico ed evolutivo (durante i suoi studi Wells frequentò accaniti sostenitori del darwinismo) e la volontà (oltre che la capacità) di creare uomini partendo dagli animali. A parte l’attualità delle tematiche affrontate e lo spunto che questi approcci narrativi hanno dato ad autori contamporanei (George R.R. Martin ha fatto del dolore un catalizzatore fondamentale per la metamorfosi emotiva dei suoi personaggi) c’è una cosa più di tutte che mi ha colpito nel romanzo di Wells.
Prendick, abbandonata l’isola, torna nella società civile dalla quale proveniva. La stessa società che aveva generato Moreau e ripudiandolo poi per la crudezza delle sue teorie. Ma non è più in grado di stare in mezzo alle persone perchè, negli sguardi delle persone, vede la stessa bestialità latente che Moreau aveva cancellato in modo temporaneo attraverso i suoi esperimenti.
Moreau, che era un semplice uomo, si era improvvisato Dio scalpellando la natura grezza degli animali come fosse pietra nel tentativo di allontanarla dal suo stato animale. E vi era riuscito, seppure momentaneamente: umanoidi in grado di parlare e di ragionare seguendo la Legge che lo stesso Moreau imponeva. Prendick, tornato a Londra, vede in tutti coloro che lo circondano versioni evolute del lavoro di Moreau. Come se una mano più salda, più capace, quella di un vero Dio, fosse stata in grado di rifinire il lavoro che il medico pazzo aveva improvvisato. Eppure il protagonista, ed è questo il dilemma che lo costringe ad abbandonare la vita cittadina rifugiandosi in un isolamento provinciale, non può fare a meno di chiedersi se anche questa ‘trasformazione’ non sia momentanea come era stato per i costrutti di Moreau. Se nonostante tutto la natura bestiale dell’uomo, che Prendick vede negli sguardi dei suoi simili, non sia destinata a riemergere scatenando la stessa violenza brutale vissuta sull’isola.
La lucidità di Wells, la sua capacità di affrontare in un romanzo fantascientifico tematiche così alte in modo tanto efficace, mi ha ancora una volta sorpreso.
di Maico Morellini