VOTO:
Il primo interrogativo che mi sono posto una volta finito questo romanzo è stato: se si legge il caso letterario dell’estate in autunno inoltrato, cambia qualcosa nella qualità delle scritto?
Perchè, fuori dai denti, ‘La verità sul caso Harry Quebert’ non è il romanzo straordinario che molti hanno cercato di farci credere.
La trama, per sommi capi, è questa.
In un’America molto attenta ai grandi successi letterari il giovane Marcus ‘Il Formidabile’ Goldman è alla prese con il drammatico blocco dello scrittore. Dopo un primo romanzo di cui non sapremo mai nulla ma che lo ha portato di punto in bianco sulla cima del mondo, non riesce più a cavare il classico ragno dal buco. Perciò decide di rivolgersi al suo antico maestro Harry Quebert, maturo scrittore diventato famoso con il capolavoro ‘Le origini del male’. Marcus si trasferirà da Harry nella cittadina di Aurora, non così lontana dal Canada, ma qui scoprirà che il suo amico e maestro nel 1975 (il romanzo è ambientato nel 2008) aveva avuto una storia con la quindicenne e ‘nabokovica’ Nola (N-O-L-A) Kellergan sparita proprio quell’anno nel nulla. Il ritrovamento del cadavere della piccola nel giardino di Harry Quebert, trent’anni dopo, spingerà il protagonista a scrivere un libro/verità che scagioni il suo maestro. E come si intitolerà quel nuovo romanzo che dovrebbe riportarlo in vetta a tutte le classifiche? ‘La verità sul caso di Harry Quebert’, per l’appunto. Da qui in avanti la trama si snoda per molte pagine in continui colpi di scena fino all’asfittico finale, nel senso che sono così tanti gli intrecci da toglierci il fiato.
Partiamo dai pregi. Si legge in fretta. Lo stile lineare, scanzonato, persino banalotto in certi passaggi (alcuni dialoghi, soprattutto tra N-O-L-A e il resto del mondo, scricchiolano) aiuta a ottenere un inarrestabile ‘turning page’ che per un giallo è una buona caratteristica. Strappa più di un sorriso, anche se lo fa con situazioni troppo forzate e ha qualche bel personaggio (il sergente Gahalowood credo sia il più riuscito, insieme all’editore Barnaski). Poi l’approccio metaletterario di Dicker mi ha proprio messo nel sacco: un romanzo che parla di uno scrittore che deve scrivere un romanzo, e delle sue difficoltà, va a toccare alcune mie corde emotive che non possono poi lasciarmi indifferente. Insomma, un libro così lungo che si fa leggere così in fretta non può, per definizione, essere brutto.
Però i difetti ci sono eccome.
Prima cosa: ‘Il Formidabile’. Mi ha ricordato un maldestrissimo tentativo di scimmiottare Dan Simmons e la grandezza che aveva raggiunto con il suo ‘Inimitabile’ Charles Dickens di Drood. Doveva essere un modo per caratterizzare e farci entrare in empatica con il protagonista ma a conti fatti è un tentativo necessario ma surreale di dare spessore a un personaggio altrimenti fastidioso e piatto.
Seconda cosa: ‘Le origini del male’. Il romanzo di Harry Quebert viene presentato come uno dei massimi capolavori della letteratura americana ma la scelta di riportarne alcuni estratti non gli rende affatto giustizia. L’aspettativa che Dicker crea è drammaticamente disattesa da Dicker stesso. E’ come quando in un film horror poco riuscito il mostro di turno viene finalmente mostrato al pubblico: non sarà mai all’altezza di ciò che lo spettatore si era immaginato.
Terza cosa: la trama è troppo, troppo tortuosa. I colpi di scena creano il fastidioso effetto ‘I Soliti Sospetti’. Il lettore non potrà MAI arrivare alla soluzione e in un giallo toglierci questa possibilità è un peccato mortale.
Insomma, per tirare le fila di questa recensione Dicker si è dimostrato più un buon affabulatore che un bravo scrittore. Ha usato qualche trucco di mestiere che per la sua giovane età è un bel risultato ma stilisticamente lo rimando alla prossima prova. Visto il successo che ha ottenuto avrà tutto il tempo per convincermi e, spero, stupirmi.
di Maico Morellini