VOTO:
Come tutti gli appassionati di vecchia data del ‘Re dell’Horror’ anche io non sono stato esente da una lunga crisi relazionale che coinvolgeva me e i romanzi di King. Dissapori iniziati nel 1998 ma risanati dieci anni dopo in ogni loro aspetto grazie alla coppia ‘The Dome’ (2009) e ’22/11/63′ (2011). ‘Joyland’ arriva nel 2013 e porta sulle spalle il pesante fardello dei due romanzi che lo precedono: lunghi, complessi e, soprattutto nel caso di 22/11/63, perfetti. Era naturale aspettarsi una storia di raccordo, qualcosa di poco impegnativo e ad alta digeribilità. Ma a King, per come ci ha abituato, la normalità non la si perdona mai del tutto.
La storia del romanzo è semplice. Nel 1973 Devin Jones, un ragazzo in odore di università, decide di trascorrere le sue vacanze estive come dipendente di Joyland, uno degli ultimi parchi divertimento della Carolina del Nord. Qui Devin crescerà, diventerà uomo e affronterà gli spettri di un antico omicidio avvenuto proprio all’interno del tunnel dell’orrore di Joyland. Una ghost story, un thriller che flirta con il paranormale e che snoda i suoi misteri tra la vita del parco, le sue regole, la sua strana ‘Parlata’ e il percorso emotivo che porterà Devin a diventare più di quanto era solo pochi mesi prima.
In sintesi, ‘Joland’ è un buon romanzo? La fortissima impressione che ho avuto è stata quella di una storia scritta senza particolari pretese. Un racconto lineare dalle tinte classiche poi affidato al talento metamorfico di King con l’obiettivo di trasformarlo in qualcosa di più. Come se qualcuno si fosse occupato di fabbricare lo scheletro grezzo di Joyland, rozzo e spigoloso, per poi lasciare che la mano dorata di Re Stephen intervenisse per rendere il banale straordinario.
Nel complesso questo scollamento si percepisce in più punti e la linearità di Joyland, si tratta comunque di una storia molto prevedibile, non aiuta.
Ciò che resta al netto dei difetti è la capacità unica che King possiede di rendere straordinario l’ordinario. Mi sono scoperto assetato mentre bevevo avido le riflessioni di Devin, mentre la pagine scivolavano una dopo l’altra. Il senso di incompiuto, di troppo normale, è stato smorzato dalla freschezza di Devin, delle sue emozioni, della sua crescita.
Basta uno straordinario talento per rendere una storia banale qualcosa di più? Solo in parte. Ma dopo ‘The Dome’ e dopo ‘22/11/63‘ mi sento di essere più che indulgente. ‘Joyland’ è un libro di raccordo. Un esercizio di stile con il quale King ha sciolto la penna dopo le due imprese titaniche che lo hanno preceduto.
di Maico Morellini