VOTO:
Da un bel po’ di anni a questa parte la convinzione che il Vecchio Continente sia la vera, nuova, fucina dell’horror moderno prende sempre più consistenza e ho perciò cercato di tracciare un minimo di profilo psicologico dei nuovi autori horror europei in un pezzo, su questo sito, qualche anno fa. Lo potete trovare qui.
Tra loro possiamo inserire il nome di Pascal Laugier, talentuoso regista francese che ha al suo attivo sia il mediocre ‘Saint Ange‘ (2004) sia, e soprattutto, il disturbante, cattivo e intelligente ‘Martyrs‘ (2008). A quattro anni di distanza approda nelle sale con ‘The Tall Man’, in italiano ‘I Bambini di Cold Rock’. Sulla traduzione poco attinente del titolo mi sono fatto un’idea: l’Uomo Alto è una figura maligna che ha qualche assonanza in diverse culture oltre che essere una citazione proveniente da Phantasm. Nessuna delle due etimologie, credo, aveva l’appeal necessario per trascinare nelle sale gli appassionati horror italiani in attesa di un nuovo film sul tema degli infanti.. L’incipit del film, infatti, ci mostra la cittadini di Cold Rock, posta sul confine canadese, nella quale da mesi si verificano misteriose sparizioni di bambini alle quali la cittadinanza risponde creando la mitologica figura dell’Uomo Alto. Se la trama, per sommi capi, potrebbe ricordare anche Nightmare (1984) o film meno nobili come ‘Al calar delle tenebre‘ (2003) ben presto Laugier inizia a mescolare le carte e già a metà film siamo proiettati in qualcosa di molto differente.
Come era riuscito a fare in Martyrs, qui in modo più sottile e macchinoso, ma non per questo meno efficace, ci sorprende non una ma ben due volte. Costruisce sapientissimi colpi di scena anche aiutato da una Jessica Biel in vero stato di grazia. E lo fa avvalendosi di una matura tecnica. Già le prime scene, quando viene mostrata la nascita di un bambino attraverso i vetri sfocati di un fatiscente pronto soccorso, ci lasciano intendere che la realtà di Cold Rock deve essere scoperta attraverso un velo di mistero, che ovatta tutto il paese. Che rende i suoi abitanti impenetrabili a un giudizio chiaro e definitivo.
Il furgone dell’Uomo Alto poi, oltre a strizzare l’occhio ad ‘Alta Tensione‘ (2003) di Alexander Aja o al ‘Jeepers Creepers‘ (2001) di Victor Selva, costruisce una lunga sequenza dal potenziale decisamente alto. In più, quando i veli vengono mano a mano scostati, anche alcune stonature che di primo acchito potevano essere attribuite a una debole regia acquistano in realtà una completezza da ammirare.
‘The Tall Man’, come anche Martyrs, non è un semplice film horror, anzi. E’ un percorso attraverso un paese di provincia, attraverso un’intera società sempre uguale a se stessa e che commette gli stessi errori, dalla quale però ci viene mostrata una via di uscita. Non senza rischi, e non esente da dubbi manifestati a più riprese, e in modo sempre più convinto, durante la pellicola. Fino al potentissimo dilemma finale, pronunciato proprio dalla voce narrante.
La critica americana, e credo anche il pubblico americano, ha accolto in modo un po’ tiepido ‘The Tall Man’ ma dal mio punto di vista è normale: si tratta di un film atipico secondo quei canoni. Un film nel quale i confini tra bene e male sono molto labili e che fa riflettere rendendo inevitabile l’insinuarsi del dubbio in chi guarda: chi sono, davvero, i cattivi? Chi, davvero, sta sbagliando?
Chiudo dicendo che uno dei monologhi del film mi ricorda molto quello di Santini, nel ‘Nameless‘ (1999) di Balaguerò. Mi piace pensare che davvero si sia creata e sta continuando a formarsi una classe di registi horror europei in grado di esaltare ciascuno le capacità dell’altro. E questo, all’horror, non può che fare bene.
di Maico Morellini