Per arrivare preparato a uno degli appuntamenti cinematografici più attesi dell’anno, avevo riletto poco tempo fa ‘Lo Hobbit’ (in una versione con tanto di domande di comprensione, non si sa mai) riscoprendolo molto più ricco di avvenimenti di quanto ricordassi. Perciò mi accompagnava in sala, memore delle capacità di adattamento mostrate da Jackson ne ‘Il Signore degli Anelli’, la consapevolezza che in quanto ad avvenimenti, ‘Lo Hobbit’ è denso quanto una zuppa di lenticchie.
Sgombriamo subito il campo da qualunque dubbio: il materiale di partenza per questa nuova saga cinematografica è molto meno epico di quanto narrato nella sacra trilogia tolkeniana. ‘Lo Hobbit’ nasce come favola per bambini e seppure succedano cose ricche e avventurose, l’atmosfera non è quella del ‘Signore degli Anelli’. E un’eredità del genere si è trasmessa, volenti o nolenti, anche sul grande schermo.
Perciò ripetere la magia di dieci anni fa era, con questi presupposti, impossibile e non credo abbia nemmeno tanto senso fare paragoni. Eppure, ancora una volta, Jackson è riuscito a stupire.
‘Lo Hobbit’ inizia in modo magistrale. Jackson ci precipita nella maestosità del regno dei Nani e in pochi minuti riesce a farci un quadro perfetto di ciò che poi vedremo. Il Drago, mai mostrato per intero, è terrificante e cattura la nostra aspettativa come una calamita. Si prende, come è suo uso e costume, qualche licenza rispetto alla versione cartacea, ma tutto è funzionale e pratico. I personaggi, nell’immaginario di Jackson, hanno bisogno di tempi diversi per crescere, motivarsi o cambiare rispetto a quanto accade nel romanzo.
Il film soffre però di una leggera mancanza di equilibrio. Dopo il trionfo iniziale rallenta concedendosi troppo tempo nella presentazione dei personaggi, anche se nel farlo segue la traccia fanciullesca del romanzo. E questo è l’unico difetto, se di difetto si può parlare, della pellicola. Le cose poi si mettono in moto e la grandezza del lavoro di Jackson prende corpo.
Lo Hobbit non è la semplice trasposizione letteraria del primo tassello tolkeninano, ma è un progetto molto più ambizioso. Jackson attinge a piene mani da tutto lo scibile della Terra di Mezzo e qua e là, con una grazia e competenza che solo un amante di Tolkien può mettere in campo, ci racconta molto di più di ciò che è scritto nel libro. I riferimenti ai Nani del passato, al Negromante di Dol Guldur e a molte altre cose aggiungono colore e spessore al grande affresco tolke-ksiano. Altre aggiunte (una sopra tutte, quella dell’Orco Pallido) riescono a dare una continuità narrativa, con la presenza di una minaccia costante, che servono alla crescita dei personaggi così come Jackson la interpreta.
Il Bianco Consiglio, e lo stesso Radagast, arrivano a riempire contenitori vuoti lasciati da Tolkien nel suo Hobbit. Trame accennate si arricchiscono anche grazie a quanto Jackson ci ha mostrato e narrato nei precedenti film. Certo, lo stregone bruno è strano e legato alla parte più infantile della narrazione (non dimentichiamo però che prende a bastonate il Re dei Nazgul), ma lo Hobbit è e resta nel suo intento letterario una favola per bambini. Il Bianco Consiglio è splendido, in tutto e per tutto. La complicità tra Gandalf e Galadriel così come il puritanesimo di Saruman il Bianco, che rimprovera Radagast così come rimprovererà Gandalf per il suo amore verso l’erba pipa.
E, soprattutto, gli indovinelli nell’oscurità. Gollum e Bilbo sono straordinari. La ricchezza di questa sequenza è anche figlia dell’interpretazione che Jackson ha dato di Gollum e del suo rapporto con gli Hobbit, e che ci ha mostrato nel ‘Signore degli Anelli’. Questa è una forza indomita e irresistibile di ciò che Jackson ha creato e sta creando. Ammicca di continuo, riprende, elabora estende e così facendo (ri)crea.
Fino a quando, nel finale, arriva dove lo stesso Tolkien ci aveva portato. L’accettazione di Bilbo agli occhi della Compagnia, soprattutto agli occhi di Thorin, arriva rapida ed eroica per merito di quell’Orco Pallido che Jackson e gli altri hanno deciso di introdurre. Di nuovo, arriviamo dove arrivava il libro, ma seguendo strade differenti, anche se vicine al sentiero originale.
‘Lo Hobbit’ è il primo capitolo di una trilogia che promette molto bene, e che sono sicuro sarà capace di molte, molte sorprese. E il cast, nessuno escluso, funziona a meraviglia. Freeman è convincente nel ruolo di Bilbo quanto lo era Ian Holm e il Thorin di Armitage è carisma allo stato puro. Balin racconta di aver trovato un Nano da seguire, e insieme a lui anche noi la pensiamo allo stesso modo.
Due parole sull’aspetto tecnico: ho visto il film in una sala in grado di rendere giustizia all’HFR. Come altri anno notato, dopo un piccolo smarrimento iniziale, è stato tutto un vero e proprio giro di giostra. Soprattutto in alcuni contesti (Dol Guldur, Erebor per esempio) l’HFR è promosso su tutta la linea.
Davvero manca ancora un anno alla ‘Desolazione di Smaug’?
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