L’11 maggio 2017 è uscito nelle sale italiane Alien: Covenant, terzo tassello firmato da Ridley Scott che è andato ad arricchire il già complesso mosaico fantascientifico sullo xenomorfo (o neomorfo) per eccellenza. Scott, lo ricorderete, ha diretto il primo Alien (1979) e poi si è allontanato dal franchise per trentatré lunghi anni. Nel 2012, con Prometheus, il regista ha deciso di estendere la narrazione andando addirittura alla ricerca delle origini della vita e scegliendo un approccio larger than life per il suo più riuscito alieno.
Alien: Covenant non è un film perfetto. Ci sono parti meno riuscite di altre, ci sono confortevoli ammiccamenti alla pellicola del 1979, ci sono tanti personaggi poco caratterizzati che transitano attraverso il film senza lasciare il segno. Ma, grattando sotto una superficie in apparenza ruvida, affidandosi alla potenza visiva di Scott e alle suggestioni che ci offre, il DNA di Alien: Covenant rivela cose sorprendenti.
LA GENESI DEL MITO
Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!
Percy Bysshe Shelley
L’androide David (Michael Fassbender) cita una delle più famose, forse la più celebre in assoluto, poesie di Percy Bysshe Shelley. Ozymandias, questo è il titolo del sonetto, viene pubblicato nel 1818 anno nel quale vede la luce anche uno dei più grandi romanzi gotici della storia: Frankenstein, o il moderno Prometeo, scritto da Mary Shelley, moglie di Pierce, tra il 1816 e il 1817. Prometeo, quindi. Lo stesso Prometheus che ha dato il titolo al film di cui Covenant è anche un sequel: Scott ricorre a questo raffinato cortocircuito narrativo per chiudere un cerchio concettuale e farci capire che Alien: Covenant non tratta di una semplice spedizione di coloni ma che la posta in palio è molto, molto più alta.
Quasi cento anni nel futuro, Alien: Covenant è ambientato nel 2104, il fuoco che Prometeo ha rubato agli dei per donarlo all’uomo è stato sostituito dalla scienza, dalla capacità di creare altre forme di vita. Come un moderno dottor Victor Frankenstein, l’essere umano ambisce a penetrare anche quel segreto rubandolo agli Ingegneri, neo-divinità reinterpretate da Scott e offerte al pubblico nel discontinuo Prometheus.
IL MITO DELLA CREAZIONE
Prometheus iniziava mostrando uno degli Ingegneri atterrare su una Terra primordiale e con una sequenza visivamente ed emotivamente potentissima ci faceva capire come era nata la vita sul nostro pianeta. L’Ingegnere veniva dissolto da una misteriosa sostanza scura e finiva con l’accendere le prime scintille della vita tra le acque sterili della Terra.
Anche i minuti iniziali di Alien: Covenant sono tutti incentrati sul concetto della creazione, ma da un punto di vista più umano, più contemporaneo e meno mistico. Peter Weyland (personaggio interpretato da Guy Pierce visto anche e soprattutto in Prometheus) si confronta con la sua creatura, l’androide David. Il dialogo tra i due si conclude bruscamente quando David evidenzia la mortalità di Weyland, il quale è già ossessionato da una esistenza destinata a finire, e quando Weyland rimarca l’obbligo di David a servire il suo creatore. Quel “Versami il tè” contiene i semi distruttivi di tutto quello che accadrà.
Un gioco di specchi, una proiezione speculare di come tanto gli Ingegneri quanto l’uomo siano ossessionati dalla creazione. Come se il mostro di Frankenstein, a sua volta, provasse l’irresistibile richiamo di generare la vita.
IL PARADISO PERDUTO
Alien: Paradise Lost era in lizza come possibile titolo per quello che è poi diventato Alien: Covenant. Al di là degli evidenti riferimenti biblici, è altrettanto chiaro che Scott ammiccava all’opera di John Milton, Il Paradiso Perduto (1667). David, in più punti, si riferisce a sé stesso come a un Lucifero pronto alla ribellione verso il proprio padre. “Meglio essere sovrani all’Inferno che schiavi in paradiso” perché l’ambizione di David è proprio la stessa del Diavolo. Sostituirsi al creatore, all’uomo che lo ha generato nel suo caso, e qualora questo non fosse possibile restare comunque liberi, seppure all’Inferno, per proprio scelta.
Il concetto del libero arbitrio in Alien: Covenant è del tutto affidato al confronto tra David e Walter. Il primo è un androide con spiccata capacità decisionale, con desideri e autonomie che lo hanno reso inquietante agli occhi dei modelli successivi. Walter no: il senso del dovere, le necessità della sua programmazione lo rendono incapace del libero arbitrio. E al tempo stesso di creare qualcosa. Come se la libertà fosse l’essenza stessa della creazione.
D’altra parte, non era ciò a cui ambiva il Diavolo?
LA FORZA DELLA CREAZIONE
Perciò il mostro di Frankenstein da una parte, la creatura che si ribella al creatore ma che diviene creatore a sua volta, e il Diavola dall’altra. David racchiude queste due essenze al suo interno.
E l’uomo? Che ruolo ha l’uomo? È destinato a soccombere al mostro che lui stesso ha creato o può salvarsi? Qui Scott rilancia facendoci capire quanto in realtà la maestria dell’essere umano sia inarrivabile. David si dimostra un fenomenale genetista: la grotta nella quale vive per suggestioni visive e per scelte estetiche è come l’antro di un evoluzionista. Cataloga, studia, tratteggia e illustra tutte le sue creazioni. Un moderno Darwin, un Linneo del futuro.
Eppure tutte queste sue conoscenze non mettono David al sicuro dalla potenza delle opere dell’uomo. Wagner e L’entrata degli dei nel Valhalla hanno sull’androide un effetto devastante: è il suo primo vagito, la prima opera dell’uomo che decide di omaggiare, ed è l’opera con la quale chiude il suo percorso di Demiurgo, di nuova divinità.
Poi il sonetto Ozymandias (che erroneamente attribuisce a Byron, non è un caso questo sbaglio) e una serie infinita di piccole e grandi citazioni che, letteralmente, infestano la mente di David. Proprio come se per l’androide David capace di manipolare la vita l’ispirazione artistica dell’uomo sia uno strumento troppo potente. Una sorta di veleno capace di corrompere desideri e volontà spingendo la creazione a voler distruggere il creatore, come David fa.
SUGGESTIONI E STORIA
Al di là di queste riscritture epiche in chiave horror/fantascientifica, tutto Alien: Covenant è un immenso caleidoscopio di suggestioni. Come nel caso del quadro L’Isola dei Morti riprodotto nella breve sequenza sulla tomba della dottoressa Shaw (Noomi Rapace), quadro a cui Hitler era morbosamente legato, come nella raffigurazione dell’apocalisse atomico-genetica che stermina gli Ingegneri.
Ridley Scott ha voluto, con le sue enormi capacità visive, ripercorrere mitologie e storia dell’uomo utilizzando David come punto di vista deforme e deformante. Tutto il resto, gli errori, i difetti, i peccati sono pedaggi concettuali da pagare quando si utilizza il cinema per un fine così complesso.
4 Comments
Frosa
Recensione perfetta: 10eLode. Sono giunto qui dopo la terza o quarta visione del film e sull’onda delle continue nuove suggestioni che mi suscita ogni volta. Complimenti davvero!
Maico Morellini
Grazie!
Non siamo in tanti a difenderlo, Covenant. 🙂
Elf0scuro
Bella recensione, sono della stessa opinione. Covenant meritava una seguito, così da chiudere il nuovo trittico di Scott.
Maico Morellini
Grazie!
Sì, ci sarebbero tutti gli ingredienti per un nuovo film.