Ari Aster, classe 1986, aveva già dimostrato di avere le idee molto chiare con Hereditary, sua pellicola d’esordio del 2018 e con Midsommar conferma di essere una perla rara nel panorama horror internazionale. In Hereditary, pellicola decisamente attraente ma discontinua, il regista prendeva un terribile dramma famigliare e lo spingeva nelle regioni occulte delle sette, dei poteri demoniaci e del sovrannaturale. Qui Aster fa qualche passo di lato.
La trama del film è piuttosto semplice: un gruppo di studenti americani laureandi in antropologia accetta l’invito di un compagno di studi per il periodo estivo. L’idea è una vacanza in Svezia presso la comunità da cui proviene uno dei ragazzi per respirare e osservare la usanze locali, per comprendere e studiare le tradizioni legate ai festeggiamenti di mezza estate. Va da sé che la comunità si rivelerà essere qualcosa di più rispetto a quello che sembra e che i ragazzi dovranno fronteggiare un pericolo che non si aspettavano.
Ari Aster non ha paura e compone il suo film come un sofisticato e disturbante mosaico. Dapprima introduce Dani Hardor (Florence Pugh) dimostrandosi capace di penetrare nei drammi famigliari con profondità davvero straordinaria. Come era successo in Hereditary, anche qui Aster è capace di tratteggiare lo spessore emotivo del personaggio con poche, violente, efficaci pennellate. E il punto di vista di Dani è quello che adotteremo per tutta la durata del film, è il paradigma con il quale dovremo affrontare la comunità di Hårga con i suoi riti e le sue tradizioni. Ed è il trip allucinogeno a base di funghi a condurci nel mondo della bucolica e al tempo stesso sinistra Hälsingland.
Aster si prende tutto il tempo necessario. La sua precisione è persino maniacale nel ricostruire i riti di Hårga, le dinamiche che ne animano il cuore. Vuole a tutti i costi farci respirare in tutto e per tutto l’esperienza che sta vivendo Dani e questa è una scelta molto coraggiosa. Così come è coraggioso far svolgere ogni cosa alla luce del perenne Sole svedese: perciò dimenticate i facili jump scare tutti tenebra e colonna sonora. Dimenticate le scorciatoie da mestierante dell’horror: Aster non vuole questo. Aster vuole portarci in un luogo luminoso e oscuro offrendoci una consapevolezza terrificante. Quale? Che la comunione, la condivisione, la solidarietà sono beni più prezioso di qualunque vigore morale.
Dani è questo che si trova ad affrontare. Sfregiata da una vita ingiusta, ferita in modo insanabile da un dramma orribile, è alla ricerca di qualcosa. Qualcosa che non ha a che fare con la relazione superficiale con Christian (Jack Reynor), tenuta in piedi solo dal senso di colpa di lui. Qualcosa che non ha che fare a ciò che Dani ha perso, a un dolore difficile da comprendere. Ed ecco che Aster sferra il suo colpo più forte.
La società contemporanea ha completamente perso di vista il concetto di empatia. Viviamo insieme, trascorriamo ore con amici, parenti, conoscenti. Ma è tutto superficiale, elusivo, fragile. Che cosa succederebbe invece se trovassimo qualcuno che dimostra di capire davvero come ci sentiamo? Che è in grado di farsi carico delle nostre sofferenze ESATTAMENTE come fossero le sue? Che non ci fa mai sentire soli, mai. Nel dolore, nella gioia, nel piacere sfrenato, nell’odio. È questo l’eredità (Hereditary, un gioco di parole?) che ci lascia Ari Aster. Un’eredità inquietante. Nel nostro mondo l’empatia è preziosa e, a conti fatti, persino più forte di qualunque giudizio morale.
E rilancia. Perché Hårga fonda tutta la sua struttura su un disturbante paradosso: un ragazzo deforme, ottenuto da incesti e rimescolamenti genetici tra consanguinei, è l’oracolo che in apparenza determina le leggi di Hårga dipingendo schizzi e disegni senza senso. Poi i saggi della comunità, da questo, traggono le loro conclusioni interpretando e trasformando i deliri del povero ragazzi (puro, dal loro punto di vista) in dettami e comandamenti. Vi ricorda qualcosa? Vi ricorda qualcosa l’illusione di una legge pura, priva di malizia, interpretata però secondo la volontà di pochi?
Midsommar è un film difficile. Lungo e che calcola il tempo in maniera differente rispetto a quanto fanno le pellicole canoniche. Proprio per questo Aster merita rispetto e attenzione.
3 Comments
Sonia
Non conosco la serie e non conosco il genere, ma mi piace leggere qualcosa che va oltre il semplice commento e che parla con parole buone, educate. E ancora mi piace leggere di “empatia”, una malattia della quale in troppo pochi sono afflitti.
Mirko
Ottimo, m’era sfuggito, corro a vederlo. Hereditary mi aveva decisamente colpito, malgrado la discontinuità che anch’io ho percepito.
Maico Morellini
@Sonia ma grazie! Cerco sempre di offrire qualche spunto in più. D’altra parte, i film nascono in un contesto sociale e secondo me è fondamentale cercare tracce di quel contesto in tutte le opere di tutti i generi.
@Mirko: sono poi curioso di sapere cosa ne pensi!