VOTO:
Lo dico senza se e senza ma: trasporre IT sul grande (o piccolo) schermo è assolutamente impossibile. E’ impossibile perché la storia è così complessa e completa, così totalizzante, che anche piccole omissioni finiscono con lo snaturare l’armonia complessiva del capolavoro originale di King. Ed è impossibile anche perché IT è un romanzo senza filtro, morboso, violento, coraggioso e che non si ferma davanti a nulla. Parla una lingua dimenticata, di certo una lingua che l’ecosistema cinematografico (o televisivo) non può e non vuole imparare.
Detto questo il bravo Andy Muschietti (con alle spalle il ben più che degno La Madre, altro film incentrato sui bambini) aveva diverse opzioni per cercare di trasformare in un lungometraggio alcuni aspetti del romanzo di King e ha scelto di privilegiare lo straordinario romanzo di formazione che, tra le altre cose, è IT.
Per fare questo si è trovato costretto a sacrificare altre cose: IT non è il male senza tempo, la creatura mistica e mitologica che ha trasformato Derry in una vera e propria appendice della sua malvagità. IT è un mostro, un mostro potente e oscuro che divora bambini ma che si spinge poco più in là di un boogeyman evoluto. Bill Skarsgård ha fatto un ottimo lavoro ma, per quanto sia evidente il tentativo di rendere Pennywise un mostro oltre il tempo, il concetto arriva a singhiozzo. Se IT non è forte come dovrebbe anche la sua connessione fisica con Derry risulta indebolita: certo, la città viene descritta come malvagia, come propaggine di un dolore antico, ma il legame intimo tra la terra e la maledizione rappresentata da Pennywise non è così solido.
Con queste premesse diventa difficile che la parte puramente horror, di tensione vera e propria, funzioni. Pennywise è molto, molto bello ma l’inquietudine che lo caratterizza non esce dallo schermo. Ma è davvero necessario? Lo sarebbe se IT fosse un terrore destinato al pubblico ma non è così. IT deve spaventare i protagonisti del film, deve terrorizzare i Perdenti isolandoli dal mondo adulto nella loro battaglia solitaria contro un mostro terribile e secolare.
Ed ecco dove il film di Muschietti dà il suo meglio: attingendo a piene mani dalla versione cinematografica di Stand By Me e da un immaginario anni ottanta denso, densissimo di suggestioni, offre una versione dei Perdenti straordinaria. Facendo questo il regista dimostra di aver capito i tanti livelli di lettura che IT offre e di aver scelto di premiarne uno sopra tutti.
Spostare la narrazione alla fine degli anni ottanta, vent’anni dopo l’ambientazione originale, ha un triplo effetto: cavalca il successo indiscusso di Stranger Things (pescando Finn Wolfhard direttamente dalla serie TV per il ruolo di Richie), colpisce con forza l’immaginario di tutti i lettori di IT che negli anni ottanta, quando è uscito il romanzo, avevano l’eta dei protagonisti e permette di ambientare il secondo capitolo ai giorni nostri, rispettando quella che era la logica di King ai tempi del romanzo.
Beverly Marsh (una Sophia Lillis alla quale da qui in avanti consiglio di prestare molta, molta attenzione) è semplicemente perfetta così come sono perfetti i Perdenti. Sono amici, litigano, affrontano un pericolo terribile con la spensieratezza di quando a quattordici anni un mostro è ben meno terrificante di genitori violenti, dei bulli, di un mondo adulto che non sa o non vuole comprendere. Muschietti prende le caratteristiche dei Perdenti e ci gioca esaltandole dove serve, smussandole dove sarebbero meno efficaci nella SUA versione di IT: l’ipocondria di Eddie, la consapevolezza di Bev, la rabbia di Bill. E su Bill attenzione perché il regista fa una scelta inaspettata e coraggiosa: il piccolo George è disperso, non morto, Bill lo insegue testardamente per tutto il film. Quando alla fine lo trova e lo uccide, ecco, quello è il passaggio da ragazzino ad adulto, quello è il rito che sancisce la fine dell’innocenza, quella è la presa di coscienza di cosa sia davvero IT.
La cosa secondo me più interessante è proprio la volontà del regista di non cercare a tutti i costi di convincere noi: Pennywise è il nemico dei ragazzi di Derry, non del pubblico, e la storia che Muschietti racconta è quella di Derry.
Il film è ricco di richiami alla controparte letteraria ma nell’ottica di quanto detto appaiono più come piccoli pedaggi concettuali da pagare per ammorbidire il palato dei fan: la bicicletta Silver, Patrick Hockstetter, il Signor Keene.
In sintesi IT è un film liberamente ispirato dal romanzo di Stephen King che, almeno in questo primo capitolo, decide di svilupparne alcuni aspetti. Muschietti dimostra di conoscere ciò di cui parla e lo dimostra, dimostra di amare i temi portanti del romanzo ma non ha paura di reinterpretarli facendo anche scelte pericolose.
Molta della grandezza di questo IT sta nell’amalgama dei Perdenti, nella loro essenza: il secondo capitolo dovrà giocare una partita del tutto diversa.
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