Avevo tre ragioni per essere molto curioso nei confronti di questo film: la prima è il ritorno sul grande schermo della storica Hammer , la seconda era vedere il monocorde Daniel Radcliffe alle prese con qualcosa di diverso da Harry Potter e la terza era valutare i progressi del giovane e promettente James Watkins che già mi aveva affascinato con il claustrofobico ‘My Little Eye’.
Ebbene devo dire che ‘The Woman in Black‘ si è rivelato una piacevolissima sorpresa. Ma andiamo con ordine.
In tutta onestà Radcliffe non buca lo schermo ma è anche vero che ha un velo di apatica tristezza (temo sia la sua recitazione) perfettamente in linea con il personaggio di Arthur Kipps. Malinconico e distante incarna perfettamente un uomo perduto da più di quattro anni in un dolore, la perdita della moglie, che lo ha allontanato dal mondo: l’unico legame che gli resta è l’amore per il figlio. Una motivazione lineare, semplice e pulita che ci tranquillizza rispetto alle scelte che Kipps farà durante il proseguo del film.
Due sono i principali punti di forza di ‘The Woman in Black’. Il primo è l’ambientazione. Pallida, malata, disturbante e malsana. Ogni personaggio, complice il trucco ma anche complice una scelta molta azzeccata del casting, è al posto giusto. Una comunità corrotta dal più perverso dei mali: qualcosa che colpisce solo ed esclusivamente i bambini. Come in ogni sano stereotipo ottocentesco nel villaggio troveremo sia i superstiziosi che i razionali ma questo non fa altro che donare realismo al contesto nel quale si sviluppa il film.
Il secondo punto di forza è un coraggio tutto europeo. Da anni, infatti, gli horror americani sguazzano nell’indolenza e nelle mediocrità (salvo rarissime eccezioni che però risalgano a qualche lustro fa) mentre quelli europei non si sacrificano per un buonismo fuori luogo. Così è per ‘The Woman in Black’. Non si tira indietro, non si nasconde e va diritto all’obiettivo. Ha una storia da raccontare e lo fa senza timore.
E’ e resta una ‘ghost story‘, solida perché alle spalle ha un romanzo di tutto rispetto, e perciò i cliché ci sono. Indugia troppo nel creare una tensione che funziona ma che si prolunga solo un po’ più di quanto sarebbe stato giusto fare: un peccatuccio comunque veniale.
Ma proprio perché interpreta senza filtro un romanzo, stupisce per cattiveria e per il finale. E conferma il fatto che ancora, nell’horror, le figure dei bambini catalizzano alla grande la creatività degli autori. Siano essi cinematografici che letterari.
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2 Comments
Franca
Ok, mi hai incuriosito, l’andrò a vedere, anche se le ghost stories degli ultimi anni, con rare eccezioni (Il sesto senso, The others) sono state delusioni.
Maico Morellini
Ti consiglio ‘Fragile’ allora, e ‘The Orphanage’ se vuoi rifarti un po’ delle delusioni. O li hai già visti?