VOTO:
Premetto che, al netto della sua discontinuità, a me Shyamalan piace molto. Ho molto apprezzato Il Sesto Senso (1999), ho letteralmente adorato Unbreakable (2000) e mi sono scoperto anche piuttosto tenero verso alcune pellicole generalmente considerate traballanti come Signs (2002), The Visit (2015) e Lady in the Water (2006). Si è anche meritato un paio di condanne senza appello, L’Ultimo Dominatore dell’Aria (2010) e After Earth (2013), perciò aspettavo con molta ansia questo Split nel quale milita anche James McAvoy, uno dei miei attuali attori preferiti. Per quanto mi riguarda, Shyamalan questa volta fa un centro colossale.
La storia è quella di Kevin Wendell Crumb (un James McAvoy sempre sul filo del rasoio ma che riesce a non cadere mai), un uomo affetto da un violento disturbo dissociativo che lo frammenta in 23 personalità differenti. Le 23 personalità coesistono prendendo a ritmi alterni il sopravvento (o ‘la luce’) ma riuscendo comunque a garantire a Kevin, con l’aiuto della dottoressa Karen Fletcher (Betty Buckley) una vita più o meno normale. Il fragile equilibrio è però destinato a spezzarsi perché una ventiquattresima figura, La Bestia, sta per fare il suo ingresso nella psiche frammentata di Kevin. Alcune personalità aspettano il suo avvento come quello di un salvatore, altre, ridotte al silenzio, ne sono terrorizzate. Di certo le tre ragazze che Dennis (una delle anime più aggressive di Kevin) ha rapito per catalizzare l’avvento della Bestia, sanno di avere le ore contate.
Al netto delle grandi prove recitative di McAvoy e della brava Anya Taylor-Joy (già vista e apprezzata in ‘The Witch‘ – 2016), e senza perdere troppo tempo sui traumi che hanno portato Kevin a sviluppare questa drammatica patologia, una delle cifre più interessanti di Split è la teoria secondo la quale una forte dissociazione della personalità può arrivare a influenzare la fisicità del paziente.
Così una personalità malata di diabete può davvero convincere il corpo della malattia salvo poi guarire non appena cede ‘la luce’ a un’altra che invece è sana. Il potere della mente che vince su quello più terreno, meccanico e sgraziato, della gabbia mortale nella quale siamo intrappolati. Il concetto potrebbe essere interpretato come una forzatura, come qualcosa che allontana lo spettatore dalla veridicità di Split: davvero stiamo parlando di nervi che si rigenerano e si spezzano ‘solo’ per lo scambio tra personalità? Davvero Shyamalan chiede allo spettatore di sospendere la sua incredulità a tal punto?
Sì e no. Il gioco di prospettive è uno dei marchi di fabbrica di Shyamalan: Signs non era un film sugli alieni quanto un film sulla fede, The Village non era un horror nel senso classico, quanto una via di fuga dall’orrore quotidiano, E Venne il Giorno non era un apocalittico quanto un maldestro afflato di ambientalismo in salsa romeriana. E così via. Da qui in poi, SPOILER!
Split, perciò, non è un thriller incentrato sulla sdoppiamento di personalità ma è un film di supereroi. O meglio è il film che racconta la genesi di un super-criminale, La Bestia appunto. Un’entità che ha poteri alieni, che resiste alle pallottole, che racchiude al suo interno il potere selvaggio e puro degli animali. E proprio quando lo spettatore, affascinato per tutta la durata del film dalla trama, sta per storcere il naso per questo cambio repentino, ecco che Shyamalan ribalta la prospettiva. Basta meno di un minuto, basta inquadrare Bruce Willis (qui nei panni di Davin Dunn di Unbreakable), basta citare l’Uomo di Vetro: ecco la quadratura del cerchio.
Kevin non è SOLO un malato, è qualcosa di più. Kevin è il villain di un fumetto e allora ecco spiegati gli strani potere che la sua dissociazione gli conferisce, ecco spiegato quel senso di incompiuto che la dissolvenza della storia di aveva lasciato. Shyamalan si cita, lo fa cambiando punto di vista, ribaltando il tavolo da gioco, cambiando genere in una manciata di secondi e riuscendo a dare un valore aggiunto pazzesco a una pellicola che già era buona, e che diventa perciò ancora più preziosa.
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