VOTO:
‘Prisoners’ è il tipo di film che ogni regista esordiente dovrebbe prendere come riferimento: ha tutti gli ingredienti logici,creativi e interpretativi che ne potrebbero fare un perfetto manuale di regia.
Denis Villneuve, classe 1967 e canadese, non è un turista della celluloide anche se la sua produzione, in Italia, non è mai stata distribuita in modo capillare. Ci volevano Hugh ‘Wolverine’ Jackman e Jake ‘Donnie Darko’ Gyllenhall per portare Prisoners in un discreto numero di sale cinematografiche e per fare sì che a distanza di tre settimane lo si possa ancora trovare al cinema.
La struttura di base è quella di thriller: la piccola figlia di Keller Dover (uno Hugh Jackman ispiratissimo) e un’amica spariscono a pochi passa proprio nei pressi di un camper malandato che scompare insieme alle due bambine. Inizia un’indagine serrata condotta dal Detective Loki (Jake Gyllenhall fa un ottimo lavoro approfondendo con un’ottima recitazione un personaggio del cui passato non sappiamo nulla) che culminerà con l’arresto di Alex Jones, autista del camper e ragazzo al limite dell’autismo. Delle bambine, però, nessuna traccia. Jones viene rilasciato ma delle piccole nessuna traccia. Fino a che punto vorrà spingersi Keller Dover nel tentativo di ritrovare sua figlia?
Ecco quindi il doppio significato del titolo. Perchè ‘Prisoners’ lo sono sia le due rapite che tutti gli altri protagonisti della vicenda, seppure in modo evidentemente diverso. Lo è Keller Dover, intrappolato dal desiderio di salvare la figlia in una spirale di violenza che arriverà a sfociare nella tortura. Lo è la moglie, incapace di superare il dolore del rapimento. Lo è persino Alex Jones, perso nei labirinti contorti nei quali la sua mente è smarrita. Persino Loki, Detective dal passato burrascoso, è prigioniero del proprio lavoro e delle promesse che un poliziotto non dovrebbe mai fare. L’affresco di Villneuve funziona, sotto tutti gli aspetti. E questo traspare anche dalle grandi prove recitative che tutti gli attori, nessuno escluso, riescono a mettere in campo: quando la storia è solida, chi la deve interpretare non può fare a meno di essere ispirato dalla narrazione stessa. Ed è quello che succede in ‘Prisoners’.
A tutti gli effetti le due ore e quaranta (non sono poche per un thriller) scorrono veloci senza annoiare e anzi, le indagini seguono un crescendo narrativo fino agli ultimi minuti, e anche oltre. Villneuve non è americano e, forse per questo, mette il sigillo di una regia coraggiosa e personale anche sugli ultimissimi minuti.
Insomma, per riassumere, ecco gli ingredienti di ‘Prisoners’:
– 1 ottima sceneggiatura
– 2 attori entusiasti
– pochi effetti speciali
– coraggio quanto basta
Unire, cuocere per 153 minuti, e il successo è assicurato.
di Maico Morellini