VOTO:
Continua, con questo secondo capitolo invischiato nei problemi di traduzione dei titoli (il titolo originale è “Dawn of the Planet of the Apes”), il bootmake (un incrocio tra reboot e remake) della storica saga dei primati. Se il primo capitolo (“Rise of the Planet of the Apes”, 2011, ‘L’alba del pianeta delle scimmie’ in italiano) aveva funzionato piuttosto bene dando una lettura più fresca di come le scimmie avrebbero potuto diventare la specie dominante del pianeta (senza tirare in ballo i cortocircuiti temporale della saga classica), con questo secondo capitolo le cose si complicano. Che sia a causa della regia più chiassosa di Reeves (precettato per il prossimo sequel scimmiesco) o per colpa di una carenza di sceneggiatura, il risultato non convince.
Sono passati dieci anni da quando Cesare, primate protagonista dello scorso film, ha condotto un gruppo di scimmie nella foresta dove ha tentato di creare una nuova casa. In questi dieci anni il virus Simian ha decimato la razza umana costringendo i pochi sopravvissuti in retrograde colonie prive di energia elettrica. Dreyfus (Gary Oldman) ha intenzione di riattivare la centrale idroelettrica che potrebbe rifornire la colonia di nuova energia ma per farlo dovrà attraversare il territorio delle scimmie. Koba però, scimpanzé sopravvissuto a torture di laboratorio, odia gli umani e tenterà in ogni modo di inasprire i rapporti tra Cesare e Malcom (Jason Clarke) fino a condurli verso uno scontro senza spietato.
Il film oscilla in modo costante tra la bontà delle scimmie, l’ottusità degli uomini, l’ottusità delle scimmie e la bontà degli uomini tanto che alla fine l’unico personaggio davvero negativo risulta essere Koba. E poco importa se Reeves cerca di farci capire che il bellicoso primate è così per colpa delle torture inflittegli dagli uomini: la sua escalation finale lo condanna senza appello. Questo ‘Apes Revolution’ ricorda i vecchi film di cowboy e indiani nei quali seppure i pelle rossa avevano qualche ragione, finivano sempre con il passare per quelli cattivi.
Le motivazioni dei personaggi sono banali, il fatto che Cesare inizi a fidarsi degli uomini perché curano la sua malata compagna sa di già visto e il fatto che le scimmie, in ultima analisi, si comportino nello stesso modo degli uomini non aggiunge niente né alla saga né allo slancio emotivo della pellicola.
Il cast umano funziona ma porta a casa un compito piuttosto semplice ed è relegato a un ruolo secondario: i primati sono i veri protagonisti anche se alcune scene in CGI (computer grafica) sono fatte piuttosto male (mi riferisco soprattutto alla caccia iniziale delle scimmie).
La frase con cui Cesare chiude il film (cito a memoria, certo di sbagliare):”La guerra è iniziata. Le scimmie hanno cominciato e l’uomo non dimentica” è la ciliegina su una torta che però non esiste perciò lascia, letteralmente, con l’amaro in bocca.
Il sequel annunciato dovrebbe raccontare della guerra vera e propria tra ciò che resta dell’esercito umano e la nuova nazione delle scimmie. Reeves e Mark Bomback (un buon mestierante a cui manca però il guizzo creativo necessario a creare qualcosa di nuovo) stanno lavorando alla sceneggiatura e i grugniti del sopravvissuto Koba in coda ai titoli potrebbero indicare che i protagonisti scimmieschi saranno sempre quelli.
Posso dirlo? Che noia.
di Maico Morellini