VOTO:
Questa recensione è stata pubblicata su Nocturno 124
Nel Febbraio del 2010 uscì nelle sale ‘Amabili Resti’ (The Lovely Bones), tratto dall’omonimo romanzo e caso letterario di Alice Sebold. L’inizio della gestazione di questa pellicola però risaliva a quasi dieci anni prima quando il manoscritto incompleto era stato opzionato dalla Film4 Production. Da quel momento e per i quattro anni successivi, il progetto naufragò e ripartì diverse volte prima di finire nelle mani di Fran Walsh, Philippa Boyens e, soprattutto, Peter Jackson. Fu proprio la volontà di quest’ultimo, affascinato dalla doppia valenza fantastica ma anche realistica del romanzo, a compiere l’alchemica metamorfosi da cellulosa a celluloide.
Susie Salmon (Saoirse Ronan) è un’aspirante fotografa quattordicenne il cui destino, purtroppo, è destinato a un triste epilogo. E’ l’autunno del 1973 quando la ragazza viene violentata e uccisa dall’inquietante George Harvey (uno Stanley Tucci in diabolico stato di grazia), vicino di casa dei Salmon che si guadagna da vivere costruendo case di bambole. Harvey nasconde il corpo non lasciando alla famiglia della ragazza la certezza di cosa le sia successo. Susie inizia un viaggio verso quello che dovrebbe essere il suo personale paradiso dove incontra un’altra vittima di Harvey. Ma il desiderio di vendetta unito al legame con il padre Jack (Mark Walberg) e la sorella, gli impedisce di raggiungere la pace e di completare l’ultimo viaggio. La storia si svolge, delicata ma crudele al tempo stesso, tra il passaggio di Susie dal mondo mortale a quello degli spiriti e le ricerche del padre: non volendo rassegnarsi alla scomparsa della figlia, inizia a sospettare di Harvey. Procede fino a un epilogo sorprendente ma giusto, dove la vendetta viene compiuta attraverso inquiete casualità.
Non si tratta di un film semplice sia per argomenti trattati sia per le dinamiche che orbitano intorno alla tragedia incompiuta affrontata dai Salmon. Jackson non ritrae mai la mano ma gestisce la violenza intrinseca della pellicola accennando in modo inequivocabile e duro a ciò che accade. Ben diversamente dalle sue abitudini splatter e di matrice horror più definita, qui approccia alla sofferenza e al male in modo più trasversale ma non per questo meno efficace. L’esperienza tolkeniana gli ha insegnato come fare: il negativo non è solo brutto o sanguinario ma vive di contrapposizioni che il regista vuole e riesce a creare.
Le crea attraverso la bravura degli attori. In questo Stanley Tucci arricchisce la volontà di Jackson con l’ambiguità e la rabbia di un personaggio che è icona assoluta del male e che è netto contraltare alla purezza e alla gioia con la quale Saorise Ronan riesce a vestire Susie Salmon.
Ma le genera anche con eleganti scelte di mestiere.
Ci sono pregevolezze di regia, concettuali e visive, come le navi in bottiglia di Jack e il faro, oggetti cari a Susie che il padre utilizza inconsapevolmente come vere e proprie ancore tra il mondo degli spiriti e quelli degli esseri umani. Scelte che arricchiscono l’atmosfera onirica e colorata del film, ma che sono in grado poi di creare un penetrante contrasto in chiaroscuro con il male che comunque c’è, ed è ben presente, in ogni momento.
Il risultato di tutto questo è inedito: da un lato inorridisce la presenza di un assassino stupratore seriale di ragazzine, dall’altro gli ‘amabili resti’ che sopravvivono alla morte di Susie, siano essi amori adolescenziali o il ritorno a una vita quasi normale, sono un messaggio di speranza che la ragazza affida alle sue ultime parole.
“Questi erano gli amabili resti, cresciuti intorno alla mia assenza. I legami, a volte esili, a volte stretti a caro prezzo, ma spesso meravigliosi. Nati dopo che me n’ero andata…”
di Maico Morellini