Probabilmente con questa breve riflessione non farò altro che ribadire l’ovvio ma viviamo in tempi in cui, a volte, non è sbagliato ripetere cose ovvie. Prima di tutto: seguo, senza maniacalità, i reality. Perciò non voglio interpretare il ruolo di chi dice peste e corna su questi fenomeni mediatici indignandosi quando qualcuno nomina ‘il Grande Fratello’. Non sono assiduo, se ci incappo non cambio canale in modo disgustato, e più che di rado la curiosità mi spinge, per l’appunto, a seguirli. Li trovo, a modo loro, interessanti specchi dei tempi moderni.
E’ proprio da questa riflessione, cioè il principio secondo il quale il ‘reality’ dovrebbe mostrarci, in una sorta di esperimento sociale, come la normalità si comporta sotto la spietata lente di ingrandimento della diretta televisiva costante, che voglio ‘ribadire l’ovvio’. Non è il reality che ci mostra un frammento di realtà, ma è la realtà che si deforma per obbedire alle leggi del reality. Non c’è più normalità in quello che vediamo. Non ci sono reazioni naturali e non ci sono nemmeno persone normali. Il format televisivo ha bucato lo schermo, invaso la realtà, e ha finito col deformare il principio di ‘persone comuni a contatto con le telecamere’. Non esiste più il, seppure discutibile, esperimento sociale sulle dinamiche di un ecosistema ridotto e chiuso. Ma esistono decine di migliaia di persone che cercano di formarsi per diventare concorrenti adatti a un reality. E’ un paradosso, una contraddizione in termini. Il piccolo universo denso di telecamere nel quale replicare i meccanismi sociali dell’esterno, diventa un piccolo universo in grado di piegare ambizioni, aspettative, obbiettivi di un ‘esterno’ sempre più vasto.
Da quelle case, quelle isole, quegli fattorie, quegli studi vengono dettate le ambizioni di migliaia di persone. Al punto in cui sarebbe interessante scoprire come i concorrenti dei reality vedono il mondo che li osserva dal ‘di fuori’. Quello (o questo), a tutti gli effetti, è il nuovo ‘Grande Fratello’ a cui prestare attenzione.