“La morte è un incidente che produce creta. Usala, modellala, impara da lei”
John Gilling
Nel 1960 il mistico mondo della cultura egizia sarebbe tornato sulle prime pagine di tutti i giornali: il presidente egiziano Nasser avrebbe deciso proprio quell’anno di iniziare i lavoro per la diga di Assuan minacciando di seppellire i millenni di storia rappresentati dai templi di Abu Simbel.
A modo suo la Hammer Films anticipò i tempi rinverdendo l’interesse forse troppo accademico per le maledizioni egizie: nel 1959 il veterano regista Terence Fisher, dopo il mostro di Frankenstein e il vampiro Dracula, portò sul grande schermo la mummia, il non morto più antico.
E lo fece avvalendosi delle due grandi icone della Hammer che fino a quel momento si erano occupate di rigenerare le saghe mostruose classiche: Peter Cushing e Sir Christopher Lee.
LA MUMMIA – Terence Fisher – 1959
Il primo capitolo di quella che sarebbe poi diventata una quadrilogia ripercorre i temi classici che ogni appassionato di egittologia conosce a memoria: esplorazione di un’antica tomba egizia alla fine del 1800, maledizione destinata a colpire gli infedeli intrusi, risveglio della mummia e dissolvenza.
Al netto di quello che per noi oggi è un cliché narrativo, Fisher, Cushing e Lee riescono a confezionare una vero e proprio gioiello archeologico che oggi, a più di mezzo secolo di distanza, non ha perso nulla della sua antica potenza e anzi è dotato di una grande scrittura come dimostra lo scontro verbale da Cushing e l’adepto George Pastell. Non solo: nell’ottica dell’intero progetto Hammer, più o meno voluto che fosse sin dalle prime battute, La Mummia riesce a costruire una sua mitologia voluta e necessaria per le tre sperimentazioni successive. Introducendo la figura classica dell’archeologo, i riti in grado di sconfiggere la morte e la persistenza dell’amore anche attraverso il trascorrere dei secoli, Fisher e il suo cast riescono a dare coordinate molto definite rispetto a tutto quello che verrà.
IL MISTERO DELLA MUMMIA – Michael Carreras – 1964
Seguendo passo passo le vicende della diga di Assuan e dei tempi di Abu Simbel, il 1964 è l’anno in cui, sotto l’egida dell’Unesco, iniziano i lavori per salvare le meraviglie egizie.
Ed è in quell’anno che Michael Carreras, uomo di punta della Hammer Films, firma la regia del secondo capitolo della quadrilogia mummiesca.
Il Mistero della Mummia ripercorre i passi del suo predecessore ma introduce alcuni elementi nuovi: saldato il conto con la dinamica delle maledizioni che qui ritroviamo senza troppe spiegazioni, Carreras si permette qualche variazione sul tema. La spedizione verso le tombe egizie si sposta nel 1900 e la spettacolarizzazione della mummia per mano dello scoppiettante Alexander King (un Fred Clark in grande spolvero) è una strizzata d’occhio a quanto sta succedendo davvero ad Abu Simbel.
Al posto dei puri scienziati de La Mummia, Carreras mette in campo uomini di spettacolo, ricchi e sinistri miliardari, decadenti professori la cui purezza è retaggio di tempi più nobili e affascinanti archeologhe un po’ troppo civettuole.
Ritroviamo George Pastell in un ruolo identico al suo precedente ed è lui uno dei pochi elementi di continuità della saga: Il Mistero della Mummia ha ben poco del carisma del predecessore.
IL SUDARIO DELLA MUMMIA – 1967 – John Gilling
Tre anni dopo il capitolo diretto da Carreras, un altro regista della scuderia Hammer incrocia i guantoni con le mummie e le loro vicende.
Ormai l’intento della Hammer appare chiaro: sperimentare declinando e attualizzando la classica maledizione, esplorare nuove possibili contaminazioni per capire fino a quando può essere manipolata la mitologia della mummia. La prima spedizione, quella de La Mummia, era guidata da archeologi, la seconda pagava il suo debito con il mondo dello spettacolo e con il povero Alexander King e questa, sulle tracce del Faraone Kah-To-Bey, è finanziata dall’uomo d’affari Stanley Preston (John Pillips).
Se l’impianto non si discosta troppo dal suo nonno cinematografico, la maledizione c’è e colpisce i membri della spedizione, sono le forti sfumature a rendere Il Sudario della Mummia un esperimento tanto interessante quanto bizzarro.
L’introduzione della chiaroveggenza e di una magia più occidentale, il potere magico di un sudario, reliquia molto cristiana che poco ha a che fare con gli esotici vasi canopi e le candide bende da mummificazione, e la capacità dei miscredenti inglesi di controllare i magici riti millenari, fanno fare un importante passo di lato al semplificato universo narrativo esplorato fino a quel momento. In più il fatto che non sia l’eternità dell’amore a catalizzare il risveglio della mummia ma bensì la fedeltà di uno servitore per il suo padrone, sposta il punto di vista in una direzione nuova.
Questi gli intenti ma nel complesso, complici i troppi eccessi, l’amalgama non è affatto omogenea anche se l’idea che l’occidente abbia accesso ai poteri millenari dei sacerdoti egizi stuzzica, e non poco.
EXORCISUMS – CLEO, LA DEA DELL’AMORE – 1971 – Seth Holt e Michael Carreras
Ultimo capitolo della quadrilogia prodotta in casa Hammer.
Seguendo il percorso concettuale iniziato con Il Sudario della Mummia questo film si spinge verso i contaminati terreni della possessione spirituale. Complice il romanzo da cui è liberamente tratto (Il Gioiello delle Sette Stelle di Bram Stoker), Exorcismus si rivolge ben poco al mistico passato dell’antico Egitto, cosa che invece facevano con abbondanti flashback i suoi predecessori, e si concentra invece sul mistico mondo degli spiriti e su come questo può minacciare il presente.
Cleo è un’antica sacerdotessa dotata di poteri quasi divini e il ritrovamento della tomba nella quale è sigillata porterà alla sua possibile reincarnazione nel corpo della bella Margaret Fuchs (Valerie Leon).
Il film è incentrato sulla forte carica erotica della Leon (di cui vediamo quasi un nudo integrale, e siamo nel 1971) e ammicca alle atmosfere da complotto satanico di Rosemary’s Baby forte di un cattivo molto carismatico come James Villiers (Corbeck) dimostra di essere.
Con Exorcismus la Hammer completa il suo percorso di attualizzazione della mummia chiudendo la quadrilogia con un capitolo oscuro, sanguinario, erotico e anche filosofico.
Gli antichi culti egizi hanno attraversato gli oceani del tempo, e ora sono tra noi.
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Questo articolo è stato pubblicato su Nocturno Cinema