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Noi di Jordan Peele

Tempo di lettura: 5 minuti

Jordan Peele è l’uomo del miracolo: con Scappa – Get Out (2017), sua pellicola d’esordio, si è aggiudicato l’Oscar come miglior sceneggiatura originale e ha concorso addirittura per aggiudicarci la statuetta come miglior film. Da quanto tempo non capitava che un horror fosse così trasversalmente riconosciuto nel suo valore tanto da infilarsi come candidato a due delle più prestigiose nomination? Ma i miracoli non capitano tutti i giorni e con Noi Jordan Peele era a chiamato a confermare tutto il suo talento dimostrando di non essere un fortuito: il regista non delude, anzi.

Nel 1986 la piccola Adelaide Thomas  (Madison Curry) è vittima di un curioso incidente: in una casa degli specchi di un Luna Park vede qualcosa che la turba a tal punto da traumatizzarla e toglierle la parola. Molti anni dopo un’Adelaide ormai adulta (Lupita Nyong’o), sposata e con due figli, dovrà affrontare un terribile incubo: quattro persone, vere e proprie ombre di lei, del marito Gabe (William Duke), della figlia Zora e del figlio Wilson (Shahadi Wright Joseph ed Evan Alex), irromperanno nella sua vacanza con intenti a dir poco omicidi. Chi sono? Cosa hanno a che fare con la bambina che Adelaide ha visto tanti anni prima, nella casa degli specchi? Perché vestono di rosso e che significato hanno le terribili forbici che usano come armi?

Jordan Peele con Noi tesse una trama davvero sofisticata. Da una parte dimostra di aver assimilato gli anni ’80 che lo hanno cresciuto citandoli, scomponendoli nelle loro forze e nelle loro debolezze, mostrando come il potere di quel periodo si allunga fino ai giorni nostri (per esempio tutta la parte della spiaggia con la t-shirt di Jaws indossata da Wilson è un grandioso omaggio a Lo Squalo, contemporaneo e mai invecchiato). Dall’altra crea una struttura a più livelli, una pellicola con una superficie evidente ma sotto la quale si celano intuizioni ben più inquietanti.

Noi è senza dubbio un film con un forte messaggio socio-politico. Le ombre, i ‘doppi’ dei Wilson, rappresentano senza tanti fronzoli gli ‘altri’, gli esclusi, quelli che si muovono nelle pieghe oscure della società non tanto per scelta quanto perché lì relegati dal potere costituito. Un potere che genera e poi dimentica, che crea e poi ignora, un potere del tutto inconsapevole di ciò che ha generato.

Peele si spinge oltre, si spinge in profondità. Destruttura il singolo, la sua unicità, tutto ciò che rende speciale una persona. Lo prende e lo riflette nello specchio oscuro nella sua narrazione, lo stesso specchio della casa in cui Adelaide si perde. Siamo davvero unici? Ciò che ci rende speciali è davvero solo e del tutto nostro? Oppure ci sono le illusioni di un tempo dimenticato, le speranze di ciò che potrebbe essere ma non è stato? Peele aggiunge al suo mosaico anche un’inquietante casuale e predeterminato fato. Adelaide incontra il suo doppio quasi per caso influenzando ed essendo influenzata dalla sua ombra, dall’altro sé portando questa strana unione all’estremo: non siamo niente di quello che credevamo, chiunque può prendere il nostro posto. E le decisioni che hanno determinato la nostra vita possono esserci imposte da un potere che non comprendiamo.

Copyright: Jason Blum, Jordan Peele, Ian Cooper, Sean McKittrick

E poi c’è il Dio a cui si riferisce l’ombra di Adelaide. Un libero arbitrio che si mescola all’unicità e che richiama, a suo modo, la caduta di Lucifero. Un angelo caduto, Adelaide, un angelo che porta frammenti della luce del mondo di sopra, diventa sovrano all’inferno e organizza la rivolta dei Titani nei confronti del sopra, dell’Olimpo. E in tutto questo Peele contamina. Usa la satira al limite del demenziale che gli appartiene ma lo fa sempre in modo consapevole, senza mai perdere il controllo della sua creatura. Farcisce la sua regia tesa, costantemente in crescita emotiva, con elementi dissonanti e in apparenza caricaturali. Ma è anche attraverso questo contrasto che fa scivolare sottopelle la sensazione inquietante che la vita di tutti i giorni non ci appartenga, almeno non come crediamo.

I simbolismi sono tanti. Le forbici dorate con cui le ombre, gli incatenati, i doppi sono armati ricordano quelle delle Parche, delle tre sorelle della mitologia romana che proprio con quelle forbici recidevano il filo della vita causando la morte dei mortali. Qui i doppi le usano per liberarsi dalle catene, per spezzare la vita degli originali e ottenere finalmente la libertà che agognano nella loro ribellione. Eppure, nonostante tutto questo, Noi è permeato da un’ineluttabile aura di predeterminazione: i doppi, creati chissà come e chissà quando dal sedicente governo, continuano la loro non vita generando figli come i corrispettivi nel mondo di sopra, come se non ci fosse altra possibilità, come se il corredo genetico di ciascuno portasse sempre e comunque allo stesso percorso finale.

E poi ci sono gli anni ’80. Per chi come me si interroga su quel periodo storico la visione di Peele è una piccola rivelazione. Non sono gli anni ’80 non hanno mantenute tutte le promesse che ci avevano fatto, ma le loro ambizioni, a distanza di decenni, possono essere distorte da chi le ha vissute come unico riferimento culturale. E’ ciò che fa Adelaide, l’originale Adelaide, colpita dalla forza di quel periodo: cerca di riproporlo a distanza di decenni nella sua visione nera.

Noi è un film complesso, con tanti livelli di lettura. Coraggioso, con un cast che sa di far parte di qualcosa di grande e con una Lupita Nyong’o semplicemente straordinaria. Peele era chiamato a compiere una grande prova: è quello che ha fatto.

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