Essere nerd significa più di tutto una cosa: amare le storie. Amare come nascono, come si sviluppano. E possono essere storie tristi, felici, possono essere storie di vita o di fantasia. L’importante è che abbiano una loro dignità narrativa. Perciò i mattoncini nel DNA del nerd, nel ventunesimo secolo, sono questo: storie.
Partendo da questo presupposto diventa inevitabile cercare di capire come il complicatissimo periodo storico che stiamo vivendo interagisca con la narrazione e quindi con le storie a noi nerd tanto care. La guerra, per quanto orribile, è un formidabile motore narrativo. Lo è nella propaganda che lo accompagna, lo è nella mitizzazione del nemico, lo è nella distruzione di ideali che fino a quel momento erano stati un saldo timone esistenziale, lo è nella creazione di eroi. Faccio alcuni esempi per spiegarmi meglio? Ci provo.
Napoleone era solito redigere e inviare ai giornali francesi finti bollettini di guerra a uso e consumo di chi era lontano dal fronte. A Parigi arrivano notizie di straordinarie vittorie, di incredibili successi militari. Perciò una propaganda scatenata con i mezzi disponibili, anche prima di strumenti come la radio, la televisione, il web.
Durante la Prima Guerra Mondiale, nei pressi del fronte franco-tedesco, un giovane ufficiale francese stava interrogando un prigioniero tedesco. Un commerciante di Brema capitato lì per caso come per caso in tanti capitavano oltre le linee nemiche. Caso volle che alcuni soldati francesi, che poco parlavano di tedesco, ascoltando frammenti di quella conversazione fraintendessero Brema con Brenn, un paesino di 600 anime poco lontano dal loro accampamento. Il risultato? La creazione di una mitologia sui tedeschi, su quanto fossero pronti a quella guerra tanto da inviare spie anche in paesini di poco conto come il minuscolo Brenn. Perciò, mitizzazione del nemico. Nota a margine, il giovane ufficiale si chiamava Marc Bloch.
Il 6 agosto del 1945 viene sganciata Little Boy su Hiroshima. A Londra una delle menti più brillanti degli ultimi due secoli – Herbert George Wells – vede andare in frantumi una delle cose che avevano sempre guidato le sue speculazioni: una scienza capace di guidare l’uomo, di traghettarlo oltre i suoi istinti, di illuminarne la via. Wells morirà il 13 agosto del 1946. Poco più di un anno dopo, il suo sogno definitivamente distrutto dalla guerra e dall’orrore atomico di Hiroshima e Nagasaki.
E veniamo ai tempi nostri. Poche settimane dopo il 24 febbraio 2022, poche settimane dallo scoppio della guerra in Ucraina, qualcosa cambia nelle foto profilo sui social dei giovani ucraini. Al posto di sorrisi o pose plastiche, al posto di rapper o cantanti russi compare il profilo senza volto di un pilota d’aereo: è il fantasma di Kiev. Un formidabile pilota, si dice, capace di abbattere più di dieci aerei russi nel corso di una sola notte. Un pilota, si sussurra tra i tunnel della metropolitana ora adibita a bunker, che protegge Kiev dai suoi nemici. L’Ucraina, una nazione che nasce per come la conosciamo ora nel 1991, inizia ad avere una sua mitologia di guerra (vi consiglio di ascoltare la puntata di Stories che parla proprio di questo). Nascono i suoi nuovi eroi. I nostri Mazzini e Cavour.
E quindi? Quindi la guerra, oltre a orrori che noi da qui non possiamo nemmeno provare a immaginare, oltre alla distruzione, oltre all’odio, ecco la guerra catalizza anche narrazioni nuove. E lo fa oggi più che in altri momenti perché è una guerra più vicina (non solo geograficamente) ma soprattutto è un conflitto coperto dai social. Da una rete capillare permeabile, come mai è successo nel passato, alla propaganda. Perciò credo sia molto importante osservare con più attenzione possibile il tipo di narrazioni che la guerra, da sempre, ha innescato. Lo è soprattutto per un motivo: sarà proprio questo conflitto, quello russo-ucraino a determinare le narrazioni futura. A creare mitologie eroiche e miti che riguardano il nemico di turno. E visto che TUTTO, ormai, è narrazione, se qualcosa catalizza un cambiamento nel modo di raccontare le storie, lo catalizza in tutto quello che ci circonda.
Concludo con un’altra riflessione. Il difficilissimo biennio 2020-2021 per tante persone – e anche a causa di un linguaggio usato spesso in modo incauto – è stato vissuto (secondo me erroneamente e con passaggi logici pericolosi e inquietanti) come una guerra. E in alcuni ambiti, in alcuni circoli, in alcuni consessi e gruppi sociali del tutto eterogenei ha innescato una narrazione di guerra. Mitizzazione del nemico, nascita di nuovi eroi, propaganda, distruzione di concetti che cementavano la coesione sociale. Cercando di osservare i due momenti storici e cercando di utilizzare la narrazione di guerra come strumento di analisi, mi sembra che abbiano una cosa in comune: la radicalizzazione. Una radicalizzazione di intenti, di idee nel biennio trascorso e di nazionalismi nel presente ancora in corso di sviluppo.
Quando comparti sociali iniziano a radicalizzarsi, non è mai un buon segno. In un vecchio libro horror di inizio anni ’90 – Vendetta di F. Paul Wilson – nel finale uno dei personaggi riferito all’imminente avvento del male diceva che sarebbe stato necessario “controllare i cieli. Perché tutto inizia sempre da lì“. Raccogliendo questa suggestione, io credo sia fondamentale osservare come sono cambiate e cambieranno le narrazioni. Perché, ricordiamolo, TUTTO oggi è narrazione.