Sono curioso, sono un informatico e scrivo: tre fattori che combinati insieme rappresentano una sorta di profezia già scritta, una profezia che mi ha condotto – come era prevedibile – a sperimentare MidJourney. Di cosa si tratta?
In sostanza è un progetto artistico la cui missione è quella di, cito i creatori di MidJourney, “esplorare nuovi mezzi di pensiero ed espandere il potere dell’immaginazione della specie umana“. Piuttosto ambizioso, no? Probabile, ma l’ambizione non è una colpa, anzi. E come funziona MidJourney?
MidJourney (MJ) è una Intelligenza Artificiale (IA) capace di creare immagini originali partendo da una serie di parole, frasi, concetti imputati dall’utente che si avvale della sua potenza di calcolo. Tralasciamo la logistica, l’eventuale licesing e tutte queste cose, magari affronteremo il tema nei commenti. Concentriamoci invece (cioè, io mi concentro, sono io che scrivo!) sull’aspetto creativo/artistico/funzionale di MJ.
Debita premessa: MJ è una IA con capacità di autoapprendimento e questo implica due cose. La prima è l’esistenza di una base dati di partenza. Da quello che ho letto, MJ attinge a un database vastissimo di immagini disponibili in formato digitale. E questa è la sua ‘conoscenza di base’. La seconda è la sua capacità di apprendere. E come apprende? Ovviamente questo è un segreto celato dagli algoritmi che regolano il carattere di MJ ma posso immaginare (e credo di andarci abbastanza vicino, ma qui sono pronto ad aprire un dibattito) che MJ impari dalle cose che fa E dalle reazioni degli utenti alle cose che fa. Cioè quali immagini vengono scaricate, le reazioni alle immagini di tutti gli altri utenti etc etc. Di fatto, MJ si piazza al centro di una sorta di enorme rete (gli utenti sono davvero tanti e anche le immagini create, disponibili e visibili a tutti almeno nella sua versione gratuita) di condivisione estetica e di gradimento. Impara da questa rete, la alimenta, e impara di nuovo. Se mettete le stesse parole in due momenti diversi, probabilmente otterremo immagini diverse. È così che funzionano le IA. E qui ecco che il mio quinto senso e mezzo inizia a pizzicare. Perché? Provo a spiegarlo.
MJ ha un suo gusto estetico. Un gusto estetico che però è stato formato da immagini preesistenti e infatti una delle sue caratteristiche (almeno per ora) è produrre immagini originali ma in qualche maniera famigliari. Questo perché attingono a una base dati che conosciamo, un immaginario estetico che in qualche maniera troviamo confortevole. E lui quello propone. E questo è il primo problema: la sua base dati è nota, condivisa e nasce da cose già create in precedenza. Si potrebbe obiettare che la stessa cosa vale per i disegnatori in carne e ossa. Non credo sia così, ma diamo per scontato che in questo MJ e un artista umano siano molto simili: entrambi hanno studiato le stesse cose, MJ forse un po’ di più, e quindi la loro base di partenza è la stessa.
I problemi veri potrebbero iniziare da qui in poi. In che modo? La formazione si MJ si basa sulle commissioni e sulle reazioni di chi lo utilizza. E il suo scopo è compiacere i gusti e le visioni di chi gli affida la manciata di parole necessaria a creare una nuova immagine. Perciò nessuna rottura, nessun desiderio di uscire dagli schemi, nessuno strumento per farlo. Se questo da un lato produce cose in media assolutamente gradevoli e che ‘ci piacciono’, dall’altro appiattisce la varietà perché alla basa della sua programmazione c’è, appunto, il desiderio di compiacere. Di offrire qualcosa di confortevole, noto. Una sorta di archetipo estetico. Gli archetipi funzionano, chi scrive lo sa anche troppo bene, ma la crescita dell’immaginario collettivo passa anche dallo smantellamento di questi archetipi. Dalla loro rielaborazione, dal desiderio di andare contro, di rompere, di uscire dalla propria (e da quella altrui) zona di confort. Ora, è ovvio che le mie sono speculazioni. Nessuno sa quali siano le regole che determinano il funzionamento di MJ (a parte i suoi creatori) ma credo che il pericolo di una omologazione estetica e creativa sia concreto.
Chiudo questa riflessione pensando a Piranesi, il bellissimo romanzo di Susanna Clarke. Lì la magia creativa degli esseri umani, la loro capacità di immaginare diventava acqua e dal fluire di questa acqua si creavano veri e propri regni imprevisti e imprevedibili. Regni che mescolavano le pulsioni creative di un’intera specie, la nostra. MJ (o i suoi epigoni, o le sue evoluzioni) potrebbe essere qualcosa di simile ma il rischio e che la sorgente dalla quale attingere per la creazione di nuovi regni fantastici sia unica, omologata e troppo asservita ai nostri like. E, peggio, potrebbe essere il creatore di un nuovo immaginario condiviso molto accomodante, molto confortevole ma alla fine ben poco nutriente, troppo arido.
Forse. Oppure, forse, sono solo un informatico stagionato e uno scrittore che si preoccupa troppo.
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