Howard Phillips Lovecraft non ha bisogno di presentazioni. Ormai da decenni il Solitario di Providence è al centro di uno straordinario fenomeno che ne vede crescere in modo costante la popolarità pur avendoci il fato privato della sua presenza nel lontano 1937. Eppure di Lovecraft si parla, le sue opere restano riferimenti culturali per sterminate produzioni multimediali che si avvicendano una dopo l’altra: ogni tanto viene prodotto un film dichiaratamente lovecraftiano e un piccolo grande esercito di autori di tutto il mondo affonda le mani nel suo ‘indicibile’ estendendone diffusione, gloria e influenza.
L’ombra su Innsmouth fa capire in modo molto chiaro i motivi di questo eterno rinnovarsi.
Le anime ingenue ritennero che tutto quanto fosse riconducibile alla quotidiana guerra all’alcool e ai contrabbandieri.
l’ombra su innsmouth
L’anima ingenua (ma lo resterà per poco) che ci guida tra le strade morenti di Innsmouth, che ci permette di esplorare gli angoli oscuri e sussurranti della città e che ci consente di penetrare tra le maglie strette di una comunità marinara chiusa, inquieta e diversamente devota è quella del protagonista. Un giovane appassionato di storia e architettura che approda alla città attraversando parte della Lovecraft Country e dedicando fin troppa attenzione all’esplorazione dell’oscura Innsmouth. Un giovane curioso che sale su un sinistro autobus guidato dal silenzioso Sargent, uomo di Innsmouth. Un giovane la cui ingenuità verrà prima erosa dai deliri del vecchio Zadok Allen e poi completamente distrutta dagli orrori che affronterà armato solo da un tenace istinto di sopravvivenza. Perciò, quali sono le anime ingenue a cui Lovecraft si riferisce aprendo il suo racconto? Sono gli altri? Siamo noi? Entrambe le cose.
L’ombra su Innsmouth è, rispetto ad altre opere di Lovecraft, un racconto molto esplicito. Lo è nelle relazioni tra i personaggi. Lo é nella sincerità con la quale la storia dell’oscura città portuale viene raccontata (e da questo immaginario verranno mutuati molti villaggi neri di tante produzioni multimediali, lo è per esempio la Crockett Island di Midnight Mass). A Newburyport il protagonista raccoglie indizi di stranezza dal lungo monologo di uno sconosciuto. Setaccia le parole dello straniero e ne distilla un senso di repulsione e disprezzo tutto a uso e consumo di Innsmouth, dei suoi abitanti e delle case che questi abitano. Una volta arrivato al villaggio di pescatori – trasformato nel ricordo della città che era e pervaso da una marcescente puzzo di pesce – è il vecchio ubriacone Zadok Allen e togliere il velo sul bizzarro per mostrare l’orrore celato sotto di esso. Molto – se non tutto – viene spiegato. Seppure attraverso il biascicare alcolico del vecchio, seppure attraverso ricordi che si mescolano a orrori che a loro volta si fondono con terrore e speranza. L’orrore, qui, non è invisibile. Non è troppo grande da non risultare descrivibile. È presente, visibile agli occhi, esplicito ed esposto. Ed è lì che il protagonista perde la sua innocenza. Ed è lì che lo “sguardo di Innsmouth” manifesta il suo vero, terribile, creativo e metamorfico potere.
Ruvidi e rugosi, e i lati del collo sono tutti raggrinziti o spiegazzati. Diventano presto calvi, anche quando sono molto giovani. I vecchi sembrano nelle condizioni peggiori: il fatto è che non credo di aver mai visto un anziano in quel posto.
l’ombra su innsmouth
Non c’è più ingenuità. Non c’è più innocenza. La battaglia contro l’occulto – uno scontro di cui Lovecraft è maestro e a cui ci ha abituato nella sue narrazioni – cambia di coordinate e diventa qualcosa di più intimo. Ma non per questo meno letale. Diventa una battaglia tra la veglia e il sonno, diventa uno scontro costante tra ciò che si vive durante il giorno e ciò che l’orrore ci sussurra durante la notte. Diventa un conflitto costante tra ciò che si è da svegli e tra ciò che il nostro retaggio ci spinge a essere quando gli abissi marini del subconscio salgono portando a galla orrori, memorie e quel terribile odore di pesce, marchio di Innsmouth e dei suoi abitanti.
Ho trovato un’insolita malinconia mista a estasi ne L’ombra di Innsmouth. Al netto dell’indicibile di cui ho accennato, al netto dei culti dimenticati come quello di Dagon (il film Dagon – La mutazione del male, è ispirato da questo racconto) che il protagonista scopre e raccoglie dalle testimonianze del vecchio Zadok Allen, al netto degli orrori di Innsmouth, dei Canachi e di tutte la altre forze passate e future che Lovecraft mette in campo, c’è poi la solitudine del protagonista. La solitaria certezza di un cambiamento. Un mutamento che ai nostri occhi, agli occhi ingenui di noi e degli altri, è puro abominio. Perché così ci è stato descritto, perché così ci è stato presentato, perché è così che lo sguardo di Innsmouth infesta la realtà.
Eppure, in qualche maniera, in un modo sbagliato e al tempo stesso incredibilmente giusto, il cambiamento è desiderato. È un malinconico ma ambito ritorno a qualcosa che forse non possiamo (o non vogliamo?) comprendere. Che determina le sue coordinate nella deformità di una natura violata, distorta dai patti scellerati del capitano Obed Marsh ma che non per questo è privo di fascino. L’amore per il passato, per qualcosa che è stato, per l’appartenenza a un tutto immortale e più grande di noi. Ecco l’eredità e la maledizione dell’ombra che infesta Innsmouth e che segue per sempre chi ha la sfortuna di percorrere le sue strade solitarie.
Ed ecco perché “L’ombra su Innsmouth” è stato pubblicato da Delos Digital all’interno della collana Innsmouth con una nuova traduzione di Claudio Foti. Anche in cartaceo!