Ero solita fare congetture, ma sempre in modo incoerente, su come l’aspro futuro (perché tutti i futuri sono aspri!) li avrebbe trattati e magari feriti.
IL GIRO DI VITE – HENRY JAMES
Ecco quello che secondo me è uno dei passaggi più simbolici del romanzo di Henry James. È intorno a queste poche righe che a mio avviso si sviluppa una delle cifre narrative più interessanti di quella che potrebbe apparire a prima vista “solo” come una ghost story ben riuscita.
Queste parole vengono scritte dalla protagonista, un ragazza che si improvvisa tutrice e che viene ammaliata dal carisma inquieto di un ricco uomo d’affari il cui nome non viene mai rivelato. Il compito della giovane? Raggiungere la vasta e isolata tenuta di Bly e lì occuparsi dei nipoti dell’uomo – Flora e Miles – orfani e di certo non molto amati dallo zio che “non vuole sapere niente di loro”. Arrivata a Bly farà subito amicizia con la signora Grove, una donna apprensiva che ama alla follia i due bambini e che diventa estensione emotiva della giovane tutrice. E da qui, dall’arrivo alla tenuta, inizierà per la protagonista uno strano viaggio che partirà delle sue stesse inquietudini, catalizzerà l’ossessione per il benessere dei piccoli arrivando a farci mettere in dubbio persino la realtà che viene mostrata attraverso il suo diario.
Perciò, al netto di uno stile che è specchio dell’epoca (siamo verso la fine dell’800), “Il giro di vite” non è solo una semplice storia di fantasmi. Come capita alla narrativa di genere più riuscita, in gioco c’è ben più che una “comune” casa infestata. Ci sono, appunto, ossessioni e paure. C’è il percorso oscuro che la protagonista intraprende suo malgrado e ben presto diventa difficile per il lettore capire se la minaccia sia davvero incarnata dagli spettri malevoli della signorina Jessel (la tutrice precedente, morta suicida) e di Peter Quint (un tenebroso e di certo poco affidabile ospite di Bly) oppure se non si tratti invece di qualcosa di molto più profondo, inaccessibile e per questo minaccioso. Le apparizioni della Jessel e di Quint sembrano infatti seguire un loro percorso occulto, cambia la periodicità che va via via facendosi sempre più frequente all’aumentare dei timori della protagonista, al crescere dell’ossessivo affetto che questa nutre per Flora e Miles . E come cornice di una situazione che viene da subito accettata per quella che è – le due apparizioni sono spiriti malevoli che come in vita vogliono estendere la loro influenza sui piccoli – l’enorme e crescente solitudine che la protagonista prova nel sentirsi l’unica in grado di salvare i due bambini. Nessuno a parte lei – e forse i due piccoli – vede mai davvero la Jessel e Quint. È il suo determinato orrore ossessivo che conferisce autorità alle ombre di Quint e della signorina Jessel.
Perciò minaccia, ossessione, paura. Una disarmante sensazione di solitudine e il timore di essere l’unica persona in grado di salvare i due bambini da un fato terribile.
Nessuno vede mai i fantasmi forse con l’esclusione di Flora e Miles che però negano, negano sempre. Negano pur venendo contagiati dai (giusti?) timori della loro protettrice. Negano pur essendo ambigui nelle loro precedenti frequentazioni con Quint a la Jessel.
Ed è qui che la frase con cui ho aperto questo pezzo manifesta tutta la sua intensità. E se gli spettri fossero in realtà il futuro? Quel futuro così crudele, quell’età adulta che nella declinazione della giovane tutrice può essere solo portatrice di sofferenza. E Miles e Flora sono troppo buoni, puri, perfetti e angelici, agli occhi della donna. Hanno già sfiorato il mondo degli adulti, sono già stati ‘sporcati’ dalle ingerenze di Quint e della Jessel, amanti, corrotti e forse corruttori: come possono essere in grado di affrontare ciò che la vita ha in serbo per loro?
Flora viene allontanata: è ancora piccola. Dal futuro, a quell’età, si può scappare. Il futuro può aspettare, può essere ingannato distanziandolo, si possono abbandonare i luoghi che ti hanno portato troppo vicino al tempo che verrà senza però intrappolarti mai davvero. Ma Miles? Un Miles a volte ambiguo, che vuole fare il male “solo per dimostrare che è possibile”, un Miles persino ammiccante nei confronti della giovane tutrice, un Miles che sembra influenzato (posseduto?) dal mondo adulto di Quint e della Jessell, non è già troppo vicino al futuro, talmente vicino dall’esserne irrimediabilmente attratto, talmente vicino dal non potersi opporre all’irresistibile gravità del tempo?
Henry James non ci offre risposte. Ma solo dubbi. Dubbi e un epilogo che trasforma i fantasmi in qualcosa di accessorio rispetto alle ossessioni di una giovane donna.
Dubbi che insieme alla conclusione diventano un monito. La paura del futuro, il timore di quello che si è o di quello che si potrebbe diventare, la convinzione che lo scorrere del tempo è destinato a rovinare ogni cosa, tutte queste cose insieme possono essere una condanna ben peggiore dell’accettare che tutti, prima o poi, dobbiamo crescere. Perché cosa potrebbe essere il giro di vite a cui fa riferimento il titolo, se non l’avvitarsi del tempo su sé stesso?
Dubbi moderni, attuali, capaci di non invecchiare. Ecco perché “Il giro di vite” è stato pubblicato da Delos Digital all’interno della collana Innsmouth con una nuova traduzione di Elisa Passeri.