“A volte le fondamenta su cui poggia la nostra vita si inclinano e tutto quello in cui credevamo prima, a cui eravamo affezionati, comincia a scivolare via, e di colpo ogni cosa sembra nuova e strana.”
Ghoul accovacciato numero otto di George Saunders è anche questo. Un bizzarro piano inclinato che ci appare lontano, surreale. Un piano dapprima congelato nel mantenimento di uno status quo quasi alieno, tutto lettere maiuscole e stranezze. Un ecosistema che orbita intorno ai Visitatori e alla replica di un funesto parco dei divertimenti all’interno del quale i ruoli da figurante si mescolano con le ambizioni, i dolori e le speranze della vita.Poi il piano si inclina e Brian, il protagonista, inizia la sua lenta ma inesorabile scivolata. Uno scorrere fatto di lettere, di sincerità, di paure e di consapevolezze. Uno scorrere nel quale a poco a poco – con terrore e sorpresa crescente – finiamo con il riconoscerci. Perché? Perché l’autore smette i panni del narratore e indossa quelli uno specchio deformante che però restituisce comunque ciò che ha davanti. Come l’amore che a un certo punto si intromette nella vita di Brian. Un amore strano, catalizzato dal profondamente sbagliato, dalle storture della vita nel parco divertimenti.
“Dovrei sentirmi in colpa, immagino, perché tu pure hai fatto qualcosa di male, e non sei ancora stato punito, – dice. – Cavolo. E adesso sto facendo qualcosa di male, e un domani potrei essere punita. Solo che con te non mi interessa più cosa è giusto o sbagliato.”
Dice Amy. Perché lí, nel mondo dei ghoul accovacciati, l’unica arma è la sincerità. Un sincerità scritta, mai detta, perché nelle parole dette si nascondono le cose storte. E se tutto intorno ci sono bugie, se tutto intorno ci sono cose giuste che però in realtà sono sbagliate, l’unica cosa da fare è lasciare che il piano si inclini. E correre, e rotolare, insieme a chi rende il giusto e lo sbagliato poco meno che punti di vista.
Perché la verità, alla fine, è un prigione.
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