Questa analisi è un estratto della conferenza che ho tenuto a ‘La Notte del Weird’, alla Miskatonic University di Reggio Emilia, il 18 settembre 2016.
True Detective è una serie televisiva trasmessa dal canale HBO la cui prima stagione è andata in onda nel 2014. E’ proprio sulla prima stagione, sulle sue peculiarità, sui suoi legami con il Weird e con il bizzarro che intendo puntare la lente di ingrandimento di questa analisi.
Prima di cominciare, che cosa rende unica (o quantomeno rara) la prima stagione di True Detective?
Senza nemmeno entrare nel merito delle tematiche e delle scrittura vera e propria, già True Detective si presenta con almeno due caratteristiche piuttosto singolari all’interno del variegato panorama serial-televisivo.
Prima: la scrittura dell’intera stagione è stata affidata a un un’unica penna, quella di Nick Pizzolatto. Pizzolatto è uno scrittore di romanzi polizieschi nato a New Orleans che, proprio per i suoi natali, affonda le mani nelle atmosfere mistiche della Louisiana.
Seconda: tutti e otto gli episodi sono diretti dallo stesso regista. Cary Fukunaga si piazza dietro la macchina da presa e non stacca l’occhio dall’obiettivo fino a quando non vede scorrere la parola fine sullo schermo televisivo.
Già queste due peculiarità trasformano la prima stagione di True Detective in una sorta di lungo film: otto ore nelle quali i due protagonisti devono districarsi in un complesso caso di omicidi rituali che si spalmano per più di quindici all’interno dell’oscura Louisiana.
Due protagonisti, dicevamo: Rustin “Rust” Cohle (Matthew McConaughey) e Martin “Marty” Hart (Woody Harrelson). Due voci molto diverse tra loro. Quella di Rust è sofferta e sofferente. McConaughey interpreta un uomo intrappolato tra il suo passato doloroso e un nichilismo cosmico che ne guida intenti, desideri e decisioni. Marty è il nostro alter ego. Un uomo normale, vittima dei propri sbagli ma che non si pone mai troppe domande. Sposato, con due figlie, è un peccatore della domenica. Tradisce la moglie e si assolve da solo consapevole di non vivere nel migliore dei mondi possibili, ma tanto gli basta.
E’ attraverso queste due voci che veniamo accompagnati in una tetra Louisiana, la Carcosa del Re Giallo.
Ed ecco comparire i due grandi debiti che True Detective ha con il Weird di fine 1800, ed ecco comparire due delle intuizioni che secondo me sono alla base del grande successo di questa prima stagione.
Carcosa.
I natali di questa terra dannata si devono ad Ambrose Bierce e al suo racconto “Un cittadino di Carcosa” (1886). Una storia visionaria di morte, una narrazione all’interno della quale il protagonista percorre lande desolate, gremite di lapidi. E lo fa riflettendo sulla morte, su come sia possibile che un corpo continui a vivere anche dopo che la sua anima lo ha abbandonato, o su come un’anima possa sopravvivere al corpo che la ospitava.
E’ la Carcosa d Bierce a ispirare parte de “Il Re Giallo” (1895), raccolta di racconti firmata da William Chambers, pittore e scrittore americano. Nel mondo immaginato da Chambers esiste questo libro, ‘Il Re Giallo’, capace di condurre alla pazzia chi lo legge e soprattutto nei primi racconti vengono mostrate diverse sfaccettature della lettura maledetta. Diversi personaggi che incrociano il loro cammino con quel del libro dannato. Nel mondo dipinto da Chambers la chiesa è un luogo pericoloso come testimoniano alcuni suoi racconti, la stessa chiesa che è al centro delle indagini dei due Detective della serie.
Perciò Carcosa, una terra oscura e dannata, e il Re Giallo che nell’ecosistema di True Detective è il nome del serial killer che Rust e Marty inseguiranno per più di quindici anni.
E intorno a questi due pilastri di tenebra, Rust e Marty. Rust ci sussurra all’orecchio, una puntata dopo l’altra, strani principi nichilisti ispirati all’autore Thomas Ligotti e alla sua ‘Cospirazione contro la Razza Umana’ (2010). Idee e concetti che allontano l’uomo dal suo posto in cima alla catena evolutiva e lo dipingono come una devianza della natura, uno scherzo non necessario e rinnegato dall’ordine delle cose. Contrapposto a questo c’è il materialismo di Marty, impegnato nelle sue meschine faccende quotidiane.
E’ Rust che si suggerisce una realtà alternativa, la possibile esistenza di una vera Carcosa, di un Re Giallo che controlla un mondo oltre il visibile. Sono le visioni di Rust, sempre puntuali e mai fini a loro stesse, a mostrarci che forse esiste davvero una realtà diversa da quella che immaginiamo. Una realtà di morte e sofferenza nella quale il Re Giallo domina ogni cosa.
Tanto da dipingere, a poco a poco, una puntata dopo l’altra, l’intera Louisiana come una temibile Carcosa. Una terra arcana e magica, pericolosa e ostile nel cui cuore si nascondo orrori e devianze. Così è il regno del Re Giallo, una casa all’interno della quale si compiono incesti ma che si trova proprio nel cuore pulsante del bayou, la paludosa foresta che è il tratto caratteristico dell’intera Louisiana.
Quello che vediamo, l’avventura che Rust e Marty ci portano a vivere, è una tremenda metafora de ‘Il Re Giallo’. Un libro maledetto che porta alla pazzia chi lo legge. E’ solo attraverso la natura semplice e materiali di Marty che non perdiamo il senno. E’ lui che tiene ancorati alla realtà mentre Rust continua a condurci lungo sentieri che è meglio non percorrere.
Io credo che il grande successo di True Detective sia merito di questa strana commistione. Percepiamo un mondo oltre il velo lacero della realtà, è Rust a suggerirlo di continuo, ma non riusciamo del tutto ad afferrarlo. Sono queste suggestioni a trasformare una normale caccia al killer in qualcosa di più esistenziale, profondo, mistico e mitologico.
E’ il debito con il Weird, con la narrativa del bizzarro e dell’immaginazione ad aver trasformato True Detective in un vero e proprio culto.
di Maico Morellini