Il cinema, in qualunque sua declinazione, si porta sempre sulle spalle un po’ del peso che la quotidianità scarica sul tessuto sociale. A volte lo fa a posteriori con biopic su personaggi che a modo loro hanno fatto lo storia, a volte lo fa con ricostruzioni critiche di determinati periodi ma molto più spesso lo fa in maniera quasi inconsapevole. Capita infatti che persone diverse attingano dallo stesso, enorme contenitore emotivo al quale tutti ci abbeveriamo quotidianamente e che registi diversi trattino in modo differente temi simili trasformandoli, di fatto, in riflessi reali e concreti del presente.
Avevo provato a parlarne diversi mesi addietro cercando (e trovando) somiglianze tra il cinecomic Spider Man – Far From Home e la bella serie TV su Chernobyl e ripropongo ora lo stesso argomento prendendo come campione due pellicole molto diverse tra loro. Da una parte l’ultimo lavoro di Jordan Peele, il bel US – NOI e dall’altra l’iper acclamato Parasite di Bong Joon-ho. In modo differente, con sfumature molto diverse una dall’altra, entrambe le pellicole affrontano il tema del doppio.
Jordan Peele sceglie una declinazione di genere attingendo a suggestioni fanta-horror quando decide di mettere a confronto la famiglia Wilson con i propri doppi, questa volta nel senso più vero del termine. Immagini oscure ma speculari, cloni tenebrosi emersi da un sottosuolo inspiegato che sentenzia in modo cinico una sola verità: ciò che possediamo, ciò che crediamo sia nostro, non solo non lo è ma è legato al presente da un filo sottile, sottilissimo, spezzabile in qualunque momento. Ecco una delle simbologia di Peele e delle sue forbici.
Bong Joon-ho fa un lavoro più sottile. Non ci sono i doppi di Peele nel suo parassita ma il senso ultimo è lo stesso: ciò che voi avete, ciò che è vostro, voglio che sia mio. Perché mi spetta, perché posso averlo, perché DEVO averlo. Il parassita di Joon-ho è raffinato, strisciante, inquieto. Dove Peele ci metteva a confronto con un doppio sbagliato, ma un doppio quasi genetico, il regista coreano fa un passo di lato, più moderno. La famiglia Kim ambisce a sostituire le mansioni dei loro doppi positivi. A rubarne il posto in società, ad averne lo spazio economico, spazio che però finisce con l’essere drammaticamente emotivo. Proprio come ci aveva mostrato Peele. Perché questa differenza? Perché Peele partiva nella sua narrazione del periodo ingannevole ma multicolore degli anni ’80 americani dove forma e sostanza sono andate per un certo periodo a pari passo (l’ultima American Horror Story 1984 è un bel caleidoscopio schizoide che apre frammenti colorati sugli anni ’80).
Bong Joon-ho ha, ovvio, una formazione differente e se i burattini del suo show si muovono su binari più comprensibili e canonici (scalata sociale, voglia di rivalsa, senso di privazione), il concetto di fondo è lo stesso: ciascuno di noi può avere un doppio sbagliato, qualcuno che ambisce ad avere ciò che noi stessi abbiamo e che, per merito o per astuzia, ci porterà a via. I punti di partenza sono diversi, gli anni ’80 da una parte, una società moderna molto difettosa dall’altra, ma l’arrivo è esattamente lo stesso.
Se è vero che due indizi fanno una prova, cosa cogliono suggerirci i due registi? Di stare attenti. Perché poco alla volta, forse, si inizierà a pagare il prezzo delle grandi illusioni passate e presenti perché poco alla volta il mondo potrebbe diventare dei nostri doppi sbagliati.